ASCOLI PICENO – Volto noto della tv, ospite spesso nel programma di Bruno Vespa Porta a Porta ed ex consulente di difesa di Michele Misseri nel giallo di Avetrana che ha coinvolto la giovanissima Sarah Scazzi, la criminologa Roberta Bruzzone, sulla base delle informazioni uscite a mezzo stampa, interviene per Picenooggi sul caso Carmela Rea, la donna originaria di Napoli scomparsa mentre era con il marito e la figlia il 18 aprile sul Colle San Marco e poi trovata morta nel bosco di Ripe di Civitella, in provincia di Teramo.

Che idea si è fatta sulla vicenda di Melania Rea?

Ci sono diverse anomalie sulle quali indagare, anche in relazione all’allontanamento della signora Rea dal marito e per esperienza posso dire che dinanzi a questi scenari non bisogna dare per scontato assolutamente niente.

Sostiene fra le righe che il marito possa essere coinvolto in questa storia?

Posso solo dire che abbiamo due elementi dai quali possiamo partire in maniera solida: la vittima e l’ultima persona che l’ha vista, ossia il marito, per cui a livello investigativo in primis bisogna capire chi era la signora Rea, che tipo di vita faceva; è necessario inquadrare le persone che aveva vicino il che significa andare ad indagare su tutte le sfere che la riguardavano, anche quelle meno note, se ce ne sono.

Quindi potrebbe esserci una correlazione con il tradimento certo o presunto del marito con una delle soldatesse sue allieve?

Non le so rispondere. Non faccio illazioni su ciò che non conosco di prima mano ma quello che le posso dire è che indubbiamente il primo passo da fare è arrivare a definire un quadro vittimologico il più preciso possibile in tutti gli ambiti della vita della signora, sia recente che passata. Normalmente comunque queste vicende, se si tratta di relazioni amicali, maturano intorno ai 6/8 mesi prima dell’omicidio per cui è quello l’ambito temporale in cui approfondire la sfera investigativa e questo è un aspetto estremamente utile. Nella mia esperienza sul campo quello che ho imparato è che solitamente un modo per risolvere un problema, che può essere di natura pragmatica o espressiva, è indagare tutte le aree di possibile problematicità della vita della vittima, anche apparentemente superficiali. Tra l’altro sto lavorando su un caso simile – ma con questo non voglio fare illazioni – in cui un uomo che inizialmente aveva segnalato la scomparsa della moglie è stato poi condannato in primo grado.

Dunque è presumibilmente un uomo ad aver ucciso Melania?

Molto onestamente si, ci vedrei maggiormente la mano di un uomo, qualcuno che già conosceva la vittima. Ogni anno muoiono in media 120 donne in maniera estremamente violenta per mano di un partner o ex partner o amante per cui lo scenario vittimologico mette in primo piano amici intimi e compagni delle vittime. Questa è la statistica giudiziaria, non possiamo fare finta che non sia così. Devo dirle che questa mi sembra una donna dalla vita assolutamente cristallina: ad oggi non è uscito niente di straordinariamente rilevante per cui è difficile, ed anche statisticamente improbabile, che una donna muoia in questi casi per mano di uno sconosciuto.

Secondo lei l’assassino ha agito da solo o con l’aiuto di altre persone?

Lo vedo come un omicidio di natura espressiva, estremamente violento, mosso da una forte scarica emotiva dell’autore. Ѐ difficile che questo tipo di atti si consumino davanti a spettatori.

Allora l’omicidio non era premeditato?

Bisogna vedere cosa si intende con il concetto di premeditazione, che è abbastanza largo. Premeditare significa anche decidere qualcosa 10 minuti prima e metterlo in atto ed è difficile pensare che in tutto ciò non ci sia stata una certa lucidità. Mi sembra un atto in cui c’è stata una chiara volontà omicidiaria probabilmente scaturita da un percorso emotivo, un gesto in cui probabilmente c’è stata una escalation prima verbale poi fisica, maturata successivamente nell’omicidio, per cui non si tratterebbe di premeditazione secca e lucida ma sicuramente di una precisa volontà di commettere un omicidio.

C’è chi ha sostenuto l’ipotesi di un atto compiuto da sette sataniche per via della siringa conficcata nel petto e di una sorta di svastica lasciata sulla coscia. Cosa ne pensa?

Mi sembra un tentativo di creare una sorta di pista alternativa riconducibile alla grande attenzione mediatica attribuita ai segni sul corpo, un modo per inquinare la situazione cercando di dare l’idea del maniaco isolato, cosa che peraltro è stata ipotizzata da esperti e giornalisti nell’immediatezza del ritrovamento del corpo. Difficilmente è riconducibile ad un seriale, tenderei ad escluderlo.

Deduco escluderebbe anche una possibile correlazione con il caso “Rossella Goffo”, la donna strangolata dalle caratteristiche somatiche molto simili a quelle di Carmela Rea, il cui cadavere è stato ritrovato proprio sul Colle San Marco lo scorso gennaio.

Assolutamente si: sono due scenari criminologici completamente incongruenti e diversi. Non escludo che in qualche modo la scelta di abbandonare il corpo proprio in quel bosco – perché sicuramente di scelta si è trattato visto il considerato che questa donna è stata ritrovata a 18 chilometri di distanza rispetto al luogo in cui è stata vista l’ultima volta – possa essere un modo per creare una sorta di suggestione in relazione alla vicenda “Goffo” che è anche abbastanza recente, una scelta rivolta a far credere all’esistenza di un serial killer, e dunque un tentativo di depistaggio. Ma se è quella la scena del crimine, se lì si è consumato il delitto – e penso si potrebbe stabilire perché con 35 coltellate immagino che le tracce ematiche fossero piuttosto ampie – è chiaro che sarebbe stato necessario mettere sotto sequestro quella zona in maniera un tantino più efficace di quanto mi sembra di capire sia avvenuto.


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