ASCOLI PICENO – Riceviamo e pubblichiamo con piacere la risposta di Fabrizio Cipollini, esponente ed animatore Tea Party Marche, in merito al nostro precedente articolo “Letterina ai “Tea Party”: la tavola da surf non salva dallo tsunami

Durante il diluvio non servirà una tavola da surf, ma l’Arca, costruita da un dilettante
Fabrizio Cipollini – esponente ed animatore Tea Party Marche

Difficilmente in questo periodo caratterizzato dalla velocità e dalla fretta, capita di poter leggere delle lettere così ben scritte come quella che Pier Paolo Flammini ha voluto dedicare alla nostra esperienza dei Tea Party che abbiamo inaugurato il 19 maggio scorso ad Ascoli Piceno con la gradita presenza di intelletuali come Davide Giacalone, di esponenti del Tea Party Italia come il vicecoordinatore David Mazzerelli, politici locali come il consigliere regionale Giulio Natali ed i consiglieri comunali Mirko Petracci ed Annalisa Ruggeri ed esponenti di quel mondo imprenditoriale innovativo e votato alla libertà come Leo Bollettini.

Ma non vorrei divagare e quindi torno subito “a bomba” al motivo di questo mio intervento, cioè l’articolo di Pier Paolo Flammini, sui Tea Party.

E’ raro, infatti, avere l’occasione di poter interloquire con una lettera così attenta ed intellettualmente stimolante come quella in oggetto.

La carne al fuoco messa sul suo braciere da Pier Paolo Flammini, oltre ad essere abbondantissima, è anche succulenta e ben cucinata, quindi ritengo sia doveroso, almeno da parte mia, poter arricchire il menù proposto con una insalatina che, seppure semplice, ha sempre il suo perché, soprattutto durante i pranzi di gala, in quanto contribuisce a sgrezzare l’importanza e la pastosità dell’arrosto, ripulendo le papille gustative dei commensali.

Credo di potermi permettere una sintetica battuta in risposta. Durante il diluvio, ovviamente, non serve una tavola da surf, ma un’Arca. Orbene, a me personalmente, piacerebbe che questa arca fosse stata costruita da un dilettante come Noè, piuttosto che dai professionisti che progettarono il Titanic.

Non sono un economista, ma, oltre ad essere un dipendente di una nazionale impresa di servizi, mi occupo di sviluppo della creatività e di problem solving, cioè, secondo wikipedia, un’attività del pensiero che un organismo o un dispositivo di intelligenza artificiale mettono in atto per raggiungere una condizione desiderata a partire da una condizione data.

La mia forma mentis è quindi quella di essere votata alla ricerca di soluzioni, usando i dati in mio possesso in maniera non convenzionale.

Direi quindi di partire da un dato di fatto: 1.967.464.819.264 Euro.
A tanto ammonta il debito pubblico italiano, mentre sto scrivendo questa mia lettera. Praticamente ognuno di noi, neonati compresi, è indebitato, grazie alle politiche economiche dei governi repubblicani di ogni colore, per una quota pari a Euro 32.670.

Questo risultato è il frutto delle politiche dei Tea Party?
Ovviamente no.

Non voglio addentrarmi nella storia della economia americana con una discettazione sulla politiche economiche di Ronald Reagan che qualche vetero stalinian-statalista definisce ancora oggi liberismo selvaggio, perché sono convinto che più del passato, sia a Flammini che ai lettori di Picenooggi.it, interessi quello che il Tea Party Italia abbia da dire sul futuro e sul presente.

L’Italia è oggi un paese fermo, purtroppo, un altro dato di fatto.
Anzi l’unica variabile economica che si muove verso l’alto è spesa pubblica al punto che la quota di intermediazione dello Stato in economia è pari al 60%.

Per sanare questa situazione, i vari governi italiani di centro, destra, sinistra e tecnici hanno suonato più o meno la stessa solfa: manovre correttive con aumento della tassazione. Tutto condito dalle scuse sulla congiuntura economica e sulla responsabilità ereditate dai predecessori.

Con questi numeri non esiste e non è possibile nessuna crescita.
Anzi l’attualità dimostra che, da ultimo, proprio il governo Monti, dopo aver applicato questa solita ricetta con il decreto salva Italia, si sta trovando alle prese con un “imprevisto” minor gettito fiscale di introito da Iva che sembra aver messo una pietra tombale sopra al non attuamento del previsto aumento della aliquota ordinaria Iva al 23% per questo autunno.

E’ il paradosso descritto dalla Curva di Laffer, per restare in ambito delle politiche economiche di Reagan. In Italia sia è già passato da tempo il punto ottimale per la fissazione del limite alla pressione fiscale per cui qualunque aumento non produce aumento di gettito, ma, paradossalmente la sua contrazione.

Questo è il problema ed i numeri dimostrano che l’Italia non ha bisogno di manovre, ha bisogno di riforme.

Due fantasmi si aggirano oggi per l’Italia: l’evasione e la spending review” uso così, in maniera scherzosa e provocatoria, l’incipit del manifesto del partito comunista di Marx ed Engels.

Il Tea Party non è assolutamente a favore del fenomeno dell’evasione fiscale, ma il nostro è un appoggio eretico a quello portato avanti dalla maggioranza dei media e della politica in generale. Secondo noi c’è un solo modo di battere in maniera netta un fenomeno antisociale come l’evasione dei tributi: quello di rendere il pagamento delle tasse e delle imposte più economico che evaderle.

Tale obiettivo, secondo il Tea Party, si raggiunge attraverso:
– una progressiva diminuzione delle aliquote fino alla istituzione di una flat tax, cioè una sola aliquota;
– una netta semplificazione degli obblighi fiscali sia in materia di calcolo che di formalità;
– un aumento deciso fino alla totale detraibilità e deducibilità di tutte le spese documentabili attraverso fatture e ricevute allegate alla dichiarazione annuale dei redditi;
– una offerta di certezza e di solidità normativa attraverso la costituzionalizzazione dei principi dello Statuto del Contribuente e con l’adozione di un unico codice in materia fiscale.

Riguardo alla spending review, in italiano revisione della spesa pubblica, sappiamo che la spesa “aggredbile” è di circa 100 miliardi di euro, per questo non è possibile accontentarsi di tagliarne solo lo 0,57%, pari a circa 4 miliardi solo per scongiurare il prossimo aumento dell’Iva.

Si arriva così al fiscal compact ed al pareggio di bilancio.
Prima però mi sia concesso una breve parentesi storica.

Il 16 marzo 1876 Marco Minghetti, esponente della Destra storica, annunciò il raggiungimento del pareggio del bilancio pubblico. Un obiettivo che la Destra storica perseguì con tenacia per anni poiché era giustamente convinta che come le famiglie e le imprese, anche lo Stato non doveva fare il passo più lungo della gamba, spendere soldi che non aveva, indebitandosi. Era per loro un segno di correttezza del proprio operato. Poi, purtroppo, arrivò la “rivoluzione parlamentare” del 18 marzo ed alle successive elezione la Destra storica scomparve.

Ma l’idea del pareggio di bilancio è, a ben guardare, presente anche nella nostra attuale Costituzione repubblicana anche se in nuce, esso è contenuto nell’ultimo comma dell’articolo 81 della Costituzione che recita: “Ogni altra legge che imponga nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.”

E’ bene, di fronte a questa norma, ricordare, grazie all’onorevole Antonio Martino che ha citato recentemente questo episodio, ciò che dissero due esponenti della Costituente che rispondevano rispettivamente al nome di Giulio Einaudi ed Ezio Vanoni, esponenti politici diversi ma accomunati da una profonda etica civile e passione politica. Einaudi, il liberale, in quella riunione disse che l’ultimo comma dell’articolo 81 costituisce “il baluardo rigoroso ed efficace voluto dal legislatore allo scopo d’impedire che si facciano nuove o maggiori spese alla leggera senza avere prima provveduto alle relative entrate”. Questa tesi fu appoggiata dall’onorevole democristiano Ezio Vanoni, il quale precisò che “la norma è una garanzia della tendenza al pareggio del bilancio e che è opportuno che, anche dal punto di vista giuridico, il principio sia presente sempre alla mente di coloro che propongono spese nuove. Il governo deve avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio e la stessa esigenza non può essere trascurata da una qualsiasi forza che si agiti nel paese e che avanzi proposte che comportino maggiori oneri finanziari”. Come noto, a partire dai primi anni Sessanta quella regola venne abbandonata.

Mai abbandono fu più deleterio. E’ ovvio che a priori non siamo contrari al principio del fiscal compact, ma se questo principio è contemperato ed armonizzato con la crescita e lo sviluppo dell’Italia.

Per noi del Tea Party la crescita e lo sviluppo dell’Italia può avvenire solo con una drastica dieta di questo Stato bulimico ed inefficiente e con adeguate politiche di privatizzazione, di liberalizzazione e di dismissione del patrimonio pubblico.
Solo per fare qualche esempio parziale e personale:
abolizione delle Province;
abolizione dei finanziamenti ai partiti;
riduzione verticale dei costi della politica;
– obbligo di dismissione dei carrozzoni pubblici nazionali, regionali e comunali;
– semplificazione e riduzione degli albi e degli ordini;
– riordino e riorganizzazione, su base economica, degli incentivi fiscali;

Sicuramente avrò dimenticato qualcosa, ma questo elenco, ovviamente monco, serve solo a dare l’idea di quello che il Tea Party sta lavorando per fare e per proporre.

Non siamo contro il licenziamento indiscriminato di infermieri, professori o dipendenti comunali. Siamo a favore dell’allontanamento di chi spreca le risorse pubbliche non producendo niente, dei fannulloni e di chi, in barba al merito, entra nel mondo del lavoro grazie a spinte e pratiche poco trasparenti.

Credo che queste, a grandi ed insufficienti linee, siano le direttrici sulle quali marcia il Tea Party in Italia. Sicuramente avrò tralasciato qualcosa della lettera che ci avete pubblicamente indirizzato e della quale vi ringraziamo ancora.

In chiusura mi piacerebbe citare una frase di Frank Knight, maestro di Milton Friedman, (ariecco la Reaganomics): “Il guaio non è che sanno così poco di economia, il vero guaio è che sanno tante cose sbagliate!”.

p.s.: giusto un inciso sulle politiche di spesa militari Reagan.
l’aumento della spesa militare non fu un vezzo di Reagan, ma più che altro fu dovuta al fatto di essere in quel periodo di piena guerra fredda, e in piena corsa agli armamenti (l’Unione Sovietica puntava i missili atomici verso l’occidente, Italia compresa), il trend della spesa militare crescente era costante, anche per quel che riguarda i precedenti presidenti, di qualunque partito.
Grazie per l’ospitalità


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