Le interviste sono state realizzate di fronte al presidio Manuli organizzato dalla Unione Sindacale di Base da lunedì 1° ottobre.
Riprese e montaggio Maria Josè Fernandez Moreno
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ASCOLI PICENO – Viaggio nella crisi del Piceno. Di fronte ad uno dei simboli della post-industrializzazione: la Manuli Rubber, un tempo la fabbrica di Ascoli e non solo, con i suoi 1200 dipendenti, ora ridotti ad appena 80, nonostante la mobilitazione dei lavoratori negli ultimi anni.

Qui al Presidio Manuli, organizzato dall’Unione Sindacale di Base, sotto la pioggia del 1° ottobre e nella strada solcata da tir rumorosi, l’atmosfera è quella di una Finis Terrae. Non geografica – o non solo – ma ideale: è finito un mondo, non si sa cosa seguirà.

Il gruppetto di operai (ma c’è anche qualche ex imprenditore dell’indotto) è demoralizzato. Molti sono in mobilità e cassa integrazione, ma fra qualche mese il sostegno rischia di terminare. Anzi: gli ammortizzatori sociali sembrano un’arma a doppio taglio: garantiscono la sopravvivenza ma non rendono la persona attiva; quasi ne smussano le residue capacità di battersi.

“Chi ha più di 40 anni, fra qualche tempo, rischia di trovarsi per sempre in mezzo alla strada”, dice uno dei lavoratori, al che un ragazzo un po’ più giovane, lo interrompe: “Perché chi ne ha trentacinque? Nessuno ti assume se hai trentacinque anni”.

Quando all’imprenditorialità, se qualche hanno fa i lavoratori avevano modo, appreso il mestiere, di aprire piccole aziende spesso di supporto alle multinazionali giunte nella Vallata del Tronto, adesso la moria di imprese è elevatissima: “In tanti abbiamo provato a lavorare in proprio, ma non ce l’abbiamo fatta, per noi non c’è mercato”.

Presidio Manuli, Finis Terrae.


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