ASCOLI PICENO – Più di un centinaio le presenze nella Sala Docens dove si è svolto l’evento “L’aratro e la barca: tradizioni picene nella memoria dei superstiti”, di Mario Polia. Un viaggio nella storia, a volte persino millenaria, tramandata un tempo in maniera orale e che adesso ha un documento che ne inquadra origini, evoluzioni, e sopravvivenza nella fase moderna.

Ad introdurre il libro è Andrea Maria Antonini, assessore alla Cultura della Provincia di Ascoli Piceno: “Questo lavoro è stato una grande fatica per il nostro territorio: è dai tempi delle inchieste napoleoniche che non veniva svolto una ricerca così ampia e complessa, sia per il numero di interviste che per la dedizione con cui sono state effettuate”.

“L’intenzione – continua l’assessore – è quella di far emergere dalla memoria orale un mondo che varia dalla campagna alla marina e che rappresenta la sostanza, la radice e l’identità del nostro popolo. È ideale in questo momento storico in cui la società sembra aver smarrito i propri orizzonti, e ci racconta un universo che funzionava, una quotidianità che vedeva l’uomo al centro di tutto. Per la prima volta tutta la provincia viene inserita in un progetto del genere, da Ascoli Piceno a San Benedetto del Tronto, da Monsampolo a Spinetoli, tutti insieme e tutti fieri delle nostre origini. Grazie a tutte le associazioni e a tutte le istituzioni che hanno partecipato a questo lavoro”.

A prendere la parola è poi il sindaco Guido Castelli: “Grazie ad Antonini, che nel 2003 disegnò questo progetto dimostrando la possibilità tradurre in opera questo patrimonio culturale. Grazie al professor Polia perché ha prodotto un’analisi scientifica rigorosa che contiene un fascino particolare, perché vive ciò che studia. Concludo con una considerazione: questo non può che essere un punto di partenza perché l’opera, di pari passo con la nostra evoluzione, potrà essere arricchita e resa più completa. Sono orgoglioso di aver investito in questo modo del denaro pubblico“.

Chiude la presentazione l’autore del libro Mario Polia, Presidente del Centro Studi Tradizioni Picene: “Tanta passione in un lavoro annulla una fatica titanica. Il mio lavoro viene da molto lontano, da luoghi remoti, dalle Ande all’Amazzonia, terre di popoli diseredati ma che sono comunque portatori di cultura e civiltà in quanto essere umani con precise filosofie e modi di vivere, esseri umani con delle memorie. Senza informazioni questo lavoro sarebbe soltanto un lavoro di biblioteca ma grazie alle sinergie createsi per il progetto è stato possibile confrontarci con l’evoluzione della memoria popolare e della nostra cultura. È per questo motivo che abbiamo deciso di chiamare “superstiti” i nostri informatori, in quanto sopravvissuti da questo naufragio della cultura popolare. Una persona di novant’anni racconta le sue esperienze dirette ma anche quelle che gli furono tramandate da suo padre e, a volta, anche da suo nonno: così è stato possibile risalire fino alla fine del XIX secolo, un patrimonio culturale, fedelmente tramandato per via orale di generazione in generazione, che non deve assolutamente andare perso”.

“Spesso bollate da alcuni studiosi come semplice folclore – prosegue Polia – alcune usanze non sono semplici superstizioni e vi trovi profondità abissali in questi metodi contadini. Cito l’esempio forse più diffuso, ovvero la cosiddetta “invidia”: questo rito è talmente antico che risale al 3000 a.C., tramandato dagli etruschi ai romani, sopravvissuto dal Medioevo fino ai nostri giorni. Una metodologia che ha resistito qualcosa come 5000 anni è un fossile che va studiato. E dunque anche le loro superstizioni, le loro storie, la loro religiosità trasmettono un’etica che oggi si sta perdendo“.


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