ROMA – “È stato una specie di incubo, in cui abbiamo visto l’Italia sparire – diceva Pier Paolo Pasolini, nel febbraio del ’74, camminando nervosamente fra le dune di Sabaudia – Adesso, forse, risvegliandoci da quest’incubo e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c’è più niente da fare”. Sono parole pronunciate dall’intellettuale bolognese per descrivere lo stato dell’Italia democratica post- fascista. Dopo una giornata come questa, in cui ormai ci avviamo verso il silenzio elettorale, queste parole tornano ad infilarsi nei ragionamenti conclusivi che dovrebbero maturare un voto.

A pochi chilometri di distanza, il Pd e il MoVimento 5 Stelle oggi hanno chiuso le loro campagne elettorali. Alle 16:30 attivisti e simpatizzanti del Pd avevano già riempito il Teatro Ambra Jovinelli, e si assiepavano nella piazza antistante l’ingresso, in attesa di vedere il candidato premier Pier Luigi Bersani, arrivato in sala alle 17:10. Nel frattempo dal palco Nanni Moretti, giunto per dare il suo sostegno, gridava: “Per vent’anni ostaggi di Uno!”

Dopo i discorsi di due giovani attiviste, è salito sul palco Nicola Zingaretti, favoritissimo alla guida della Regione Lazio. L’ironia sullo scandalo Fiorito e sul “giaguaro da smacchiare” riscaldano la platea interna ed esterna, che subisce anche la pioggia pur di applaudire e sostenere Bersani durante il suo ultimo comizio. Guadagnato il leggio, dopo i saluti di Zingaretti, il candidato premier del Pd esordisce rendendo nota la sua stanchezza, accumulata a causa delle fatiche di questa campagna elettorale.

Rispetto agli attivisti, che non le mandano a dire ai “competitors”, come li ha definiti Berlusconi, i toni del loro leader sono più contenuti: “Abbiamo scelto di essere un partito popolare, non demagogico. Vogliamo dimostrare con serietà che ce la faremo e chi ha di più deve capire di dover dare di più!”. Bersani però dovrebbe sapere che la scelta dell’Ambra Jovinelli, un teatro tra i più alla moda di Roma con soli 500 posti, di sicuro non è popolare, e la piccola piazza Guglielmo Pepe non riesce a dare all’ultimo atto della campagna elettorale quella connotazione “pop” che forse sarebbe stata più opportuna. L’impressione invece è che si sia voluto fare un comizio per pochi fedelissimi.

Tutt’altro scenario quello che si apre a Piazza San Giovanni. Dalle ore 18 inizia l’attesa per Grillo, che dura fino alle 20:45. Già alle 19 le forze dell’ordine decidono di chiudere la piazza e le vie attigue al transito delle auto. Se Bersani ha optato per un comizio tra intimi, Grillo si è letteralmente preso una zona simbolo della sinistra e dei sindacati, da lui spesso attaccati. I numeri raggiunti dal “Sarà un piacere day”sono allucinanti: 150.000 persone e 120 piazze collegate in streaming con San Giovanni, 800.000 le persone in piazza.

La folla accorsa a San Giovanni per Grillo è eterogenea: molti giovani, donne e uomini di tutte le età, anziani, per la maggior parte dimessi, qualche esaltato che sventola una bandiera del Regno delle Due Sicilie, un rappresentante del “movimento degli uomini casalinghi” e un gruppo in rappresentanza dei “populisti”. C’è di tutto. A tratti sembra di essere tornati indietro ai giorni di Carnevale. Sul maxischermo proiettano prima l’eroica nuotata del Beppe nazionale nelle acque dello Stretto di Sicilia, poi scomodano persino Pasolini, che sicuramente qualche calcio nella tomba l’avrà tirato.

Salito sul palco Grillo inizia a parlare a ruota libera di tutti i punti del programma. Per il Monte dei Paschi propone la nazionalizzazione e la messa sotto inchiesta dei rappresentanti del Pd dal ’95 in poi e sull’atteggiamento di Napolitano riguardo alla vicenda, si mostra tragicamente deluso per non averlo visto sbattere i pugni sul tavolo invece di chiedere privacy. Alla comunicazione delle presenze in piazza gli attivisti sventolano cartelli con su scritto “Arrendetevi”. Il comico poi ironizza sulla congiuntivite di Berlusconi, dicendo che in realtà ci vede benissimo e che non ha chiuso la campagna elettorale a Piazza del Plebiscito perché non ci sarebbe andato nessuno. A Bersani invece un’ulteriore stoccata, dopo la presa di Piazza San Giovanni: “Gargamella dice che è figlio di un meccanico e che io sono un miliardario. Ma io per avere i soldi ho lavorato per una vita, non ho fatto mica il parassita in politica come lui!”.

I rapporti con la stampa italiana funestano però l’ultima data dello “Tsunami tour”, infatti lo staff del comico genovese fa entrare nel backstage solo la stampa straniera, SkyTg 24 e la Rai. Dopo un’ora e più di tensione e le dichiarazioni di fuoco di Enzo Iacopino, Presidente dell’Ordine dei giornalisti, grazie alla mediazione delle forze dell’ordine alcuni riescono ad accedere all’area riservata a stampa e fotografi, ma non nello stesso posto privilegiato destinato alla stampa internazionale. L’organizzazione ha poi rincarato la dose facendo salire sul palco, durante il comizio, molte tv straniere. Poco male se lo show è trasmesso in diretta web.

Ormai le luci sono spente sulle due piazze separate da qualche chilometro e dopodomani le urne inizieranno a riempirsi del verdetto popolare, però le impressioni lasciate dalla giornata di oggi, che in qualche modo avrebbero dovuto essere decisive, in realtà spaventano: la novità, pur con i suoi lati oscuri come quanto accaduto con la stampa, è riuscita a prendersi un simbolo come San Giovanni, riempiendola di gente comune stanca dei partiti tradizionali, mentre di là il partito tradizionale, certo di essere stato all’opposizione di quella dittatura descritta da Pasolini, si è preso un aperitivo chic ignorando la piazza.


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