ASCOLI PICENO -Scienziato e imprenditore di successo nel settore della bio-farmaceutica con oltre 30 brevetti all’attivo; co-fondatore della Biochem Pharma, che ha lanciato l’Epivir, il farmaco più venduto al mondo contro l’HIV; Grande ufficiale e Cavaliere del lavoro; filantropo e campione di solidarietà; amante della caccia e della pesca; cultore del buon vino (la sua ‘Domodimonti’ produce oltre 200 mila bottiglie all’anno) e appassionato di calcio; da qualche settimana è salito alla ribalta della cronaca per aver comprato l’Ascoli Picchio FC 1898. Un gesto di estrema generosità, “per restituire dignità e orgoglio” alla sua città natale. Con la promessa di riportare la gloriosa società agli antichi fasti. Stiamo parlando di Francesco Bellini, che in Québec ha creato un impero nel settore farmaceutico, grazie alle sue abilità di ricercatore e di uomo d’affari.

Nato ad Ascoli nel 1947, si è trasferito appena ventenne in Canada dove ha conseguito il Bachelor of Science presso la Concordia University nel 1972, ed il Dottorato in chimica organica presso l’Università di New Brunswick nel 1977. Co-fondatore di Biochem Pharma, di cui è stato presidente e amministratore delegato dal 1986 al 2001, è considerato uno dei pionieri della scienza “mixata” all’imprenditoria nel settore bio-farmaceutico. Oggi Francesco Bellini – sposato con Marisa e padre di Roberto e Carlo – è presidente della Picchio International, la holding di famiglia che gestisce 6 società: Bellus Health, Klox Tecnolgogies, FB Health, Domodimonti, Iniziative Immobiliari Marchigiane e, appunto, l’Ascoli Picchio FC 1898”.

 Dott. Bellini, com’è nata l’idea di acquistare l’Ascoli?  “Con il fallimento della società, ho visto una città demoralizzata. Non l’ho fatto per i soldi o per la gloria, ma per la gente. Vedere i tifosi piangere di gioia nel giorno dell’acquisto mi ha commosso. Ne ho spesi tanti di soldi nella mia vita, ma questi sono quelli spesi meglio”.

Come pensa di gestire l’Ascoli in un momento in cui l’economia stenta a decollare? “Il calcio è la più importante industria italiana, ma anche quella in cui succedono le cose più strane. Per questo motivo, come direttore generale, ho scelto il giornalista Gianni Lovato, una persona che conosco da tempo e che mi ha impressionato per l’onestà e la profonda conoscenza del mondo del calcio. In più posso contare su altri azionisti di minoranza, noti imprenditori ascolani come Battista Faraotti, Giuliano Tosti (nato a Montréal) e Gianluca Ciccoianni”.

Quando un giorno il suo Ascoli incontrerà la Juve, visto che lei nasce juventino, per chi farà il tifo? “Sono juventino da quando avevo 5 anni, farò sempre il tifo per la Juve, anche se il mio cuore ora batte per la mia città”.

Come nasce la sua passione per i farmaci e come concilia scienza e imprenditoria? “L’amore per la scienza è arrivato quasi per caso: appena giunto in Canada, ho lavorato in una fabbrica che produceva colla, occupandomi del controllo della qualità. Poi un veterinario italiano, che lavorava nella ‘Ayerst Laboratories’, mi ha convinto ad andare a lavorare con lui nel Dipartimento di tossicologia. Sono rimasto subito affascinato. Tutto ha avuto inizio più per obbligo lavorativo. L’entusiasmo è venuto dopo. Il bello della ricerca è inventare qualcosa: una volta che scopri una molecola, la sperimenti in laboratorio, poi nei topi e cerchi di capire come modificare la vita degli esseri umani”.

La scoperta non basta, bisogna commercializzarla. “Quello che abbiamo fatto per tanti anni era scoprire e portare avanti un brevetto. Poi lo cedevamo a chi si occupava della sua commercializzazione. Oggi facciamo meno ricerca e più sviluppo. Tra le ‘invenzioni’ di cui vado più orgoglioso c’è l’Epivir, scoperto dalla Biochem Pharma. Grazie a questa scoperta, oggi l’Aids è diventata una malattia cronica”.

Sarebbe mai potuto diventare quello che è diventato senza venire in Canada? “Non penso. Il Nord America è la terra delle opportunità, grazie anche ad una mentalità meritocratica.In Italia, invece, vige ancora la raccomandazione. Vengo da una famiglia al di sotto della classe media: mio padre lavorava per la Canadian Pacific, mia madre in una sartoria. La mia non è stata una famiglia facoltosa. I miei genitori mi hanno sempre sostenuto, aiutandomi a pagare gli studi. Tutto quello che è venuto dopo, però, l’ho fatto da solo. In Italia dubito che avrei potuto farlo. È questa la terra del futuro”.

Sempre più giovani lasciano l’Italia. Quale destino spetta al nostro Paese? “I dati ufficiali parlano di oltre il 40% dei giovani senza lavoro, ma penso che siano molti di più. I problemi sono molti: lentezza nelle decisioni, mancanza di governabilità, ma soprattutto mancanza di controllo sulle risorse finanziarie. Voglio soffermarmi sull’euro. In questo momento, dal punto di vista finanaziario, l’Europa è gestita come se tutti i membri facessero parte dell’economia tedesca. Ma non tutti i Paesi sono uguali. Ed in questo momento ci sono più svantaggi che vantaggi. Per me sarebbero necessari molti più incentivi per rimettere in moto l’economia. In Italia, oggi, è impossibile beneficiare di un prestito: le banche preferiscono investire i soldi per comprare i buoni del Tesoro. L’Italia non è competitiva. Io produco anche vino e, se l’euro avesse lo stesso valore del dollaro, potrei vendere il doppio. Le spese di produzione sono enormi: un bracciante agricolo, che percepisce 55 euro netti al giorno, costa all’azienda almeno il doppio”.

Il mercato principale della sua azienda vinicola è al 90%  l’estero. “Le Marche non sono conosciute per produrre vini eccezionali. I nostri vini sono differenti e sono generalmente più cari di altri, anche perché sono prodotti senza additivi chimici. La nostra cantina è costruita attraverso un’architettura moderna ed inserita lungo il pendio di una rigogliosa collina, con basso impatto ambientale”.

Che obiettivi si pone per il futuro?  “Mi piacerebbe fare una vita più tranquilla, andare a caccia e a pesca, e girare il mondo. Oggi si vive più a lungo, però la vecchiaia non dura per sempre. In Canada, comunque, il futuro è bello”.

Lei controlla anche la FB Health, con sede ad Ascoli. “Sì, quest’azienda italiana, che genera più di 5 milioni di euro di fatturato, sviluppa e commercializza prodotti farmaceutici per la prevenzione e il trattamento di patologie come l’Alzheimer. Impieghiamo più persone in Italia che in Canada: all’Ascoli Calcio ci sono 22 giocatori, più una trentina di dipendenti; alla FB Health abbiamo una trentina di dipendenti; un’altra quindicina a Domodimonti. In Canada ci sono meno dipendenti, ma le aziende valgono di più”.

Quindi lei fa più utili in Canada che in Italia. “Noi perseguiamo obiettivi di lungo termine: partiamo da un’idea, da una tecnologia, investiamo i nostri capitali, talvolta ricorriamo ad altri investitori, fino a portare la società in utile e quindi la vendiamo. Non sempre i risultati sono positivi, ma, finora, ho avuto risultati importanti”.

Qual è il suo rimpianto più grande? “Penso di aver venduto la mia 1ª società, la Biochem, troppo in fretta. L’ho fatto perché non riuscivo a trovare una persona che mi sostituisse e che mi potesse succedere”.

Lei ha dimostrato che scienza e imprenditoria possono viaggiare a braccetto. “Penso che si possa fare, anche se non è facile. Una cosa è certa: una persona che ha studiato economia può essere un buon uomo d’affari ma, se non conosce la scienza, difficilmente può fare il ricercatore. Per qualcuno che invece ha una preparazione scientifica, è molto più facile fare business. Oggi mi sento più imprenditore, all’inizio della mia carriera probabilmente più scienziato”.

 da IL CITTADINO CANADESE 


Copyright © 2024 Riviera Oggi, riproduzione riservata.