ASCOLI PICENO – Nuovo colpo delle forze dell’ordine nei confronti delle frodi nel territorio piceno.

Una notevole frode fiscale è stata scoperta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ascoli Piceno che, attraverso l’operazione  denominata “Betrug”,  ha scoperto un giro di fatture riferite ad operazioni inesistenti per 40 milioni di euro.

L’indagine è stata avviata dalle Fiamme Gialle del Nucleo di Polizia Tributaria sulla scorta degli esiti delle attività di monitoraggio e di analisi normalmente svolte a presidio del segmento della tutela dei mercati e della concorrenza, al fine di assicurare il corretto funzionamento delle relazioni economiche a tutela dei consumatori e delle imprese attraverso la prevenzione e la repressione dei reati tipici che le possono compromettere, aggredendo pratiche di vendita di prodotti a prezzi notevolmente inferiori rispetto a quelli normalmente praticati dalle imprese concorrenti operanti nel circuito dell’economia legale.

Una strategia operativa attuata dalla Guardia di Finanza su piani distinti, ma convergenti, che sfruttando i poteri di polizia economica e finanziaria e di quelli, ulteriori, di polizia giudiziaria, consente di consolidare il controllo economico del territorio attraverso l’intercettazione dei flussi di merce illecita distribuita tramite canali di vendita alterati nelle loro prerogative del rispetto delle regole e, parallelamente, a rafforzare le garanzie di tutela delle entrate dello Stato.

Il sistema di frode, alquanto articolato, è stato accertato a conclusione di un’ampia indagine, durata oltre un anno, eseguita sotto la direzione del Procuratore della Repubblica di Fermo, dott. Domenico Seccia, e del Sostituto Procuratore dott. Alessandro Piscitelli, ed ha coinvolto un imprenditore che, attraverso una società costituita nella provincia fermana, gestiva il commercio all’ingrosso, sull’intero territorio nazionale, di componentistica elettronica ed informatica.

I prezzi praticati al consumo, alquanto convenienti e concorrenziali, sono risultati il frutto del sistema fraudolento che, come accertato nel corso delle indagini, era alimentato da altre cinque società italianefantasma” – le cosiddette “cartiere”, che, come lo stesso appellativo suggerisce, altro non sono che società costituite solo “sulla carta”, quindi prive di ogni materiale struttura operativa ed aventi il compito di attestare vendite solo cartacee al fine di frodare l’IVA – aventi sede dichiarata a Roma, Torino e Milano, nel mentre, sul fronte estero, le aziende fornitrici (soggetti effettivi) sono risultate di diritto tedesco.

Gli accertamenti di circostanza delle indagini – condotti, quindi, non soltanto nel territorio marchigiano ma anche nel Lazio, nel Piemonte e nella Lombardia – hanno permesso di accertare l’intero percorso dei prodotti provenienti dalla Germania e diretti in Italia, il cui prezzo di acquisto e di vendita era già stabilito “a tavolino” da una regia comune, che gestiva il circuito illegale fra società solo apparentemente estranee l’una all’altra.

La merce veniva ceduta solo cartolarmente dalle società “fantasma” italiane a quella fermana con la pratica del c.d. “sotto-costo”, ossia ad un prezzo inferiore a quello di acquisto dai fornitori tedeschi, che, infatti, provvedevano a consegnare i prodotti direttamente alla stessa impresa marchigiana, effettiva beneficiaria della frode in tal guisa perpetrata.

Duplice, pertanto, il profilo della frode: da un lato, il mancato versamento dell’I.V.A. a debito, da parte delle società “cartiere”, scaturente dalle vendite ufficialmente effettuate alla società fermana; dall’altro, l’illegittima costituzione di crediti I.V.A., da parte di quest’ultima società (ultimo anello della frode), oggi non più spettanti in virtù dell’esito delle indagini, che ha consentito infatti di delineare compiutamente il meccanismo fraudolento, attuato dall’emissione reiterata di fatture riferite ad operazioni inesistenti, secondo lo schema tipico delle “Frodi carosello”.

Una valenza e concretezza operativa che, oltre a determinare la denuncia alla Procura della Repubblica di Fermo di tre imprenditori per le fattispecie di reato contemplate dagli articoli 2 “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” e 10-quaterIndebita compensazione” del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ha consentito alla stessa Guardia di Finanza di Ascoli Piceno di avviare le contestuali indagini patrimoniali, finalizzate all’individuazione delle disponibilità dei beni intestati e/o riconducibili agli indagati.

Un’ulteriore capillare prerogativa della polizia economica e finanziaria che, a chiusura delle indagini, ha così portato, in breve tempo, all’emissione, da parte del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Fermo, di specifica ordinanza di misura interdittiva dall’esercizio dell’attività di impresa nei confronti dell’imprenditore del fermano e di un contestuale decreto di sequestro preventivo, già eseguito dalle Fiamme Gialle, di due immobili, due conti correnti e uno yacht, il cui valore complessivo – stimato in diverse centinaia di migliaia di euro – va sostanzialmente a ristorare una parte dei danni cagionati all’Erario e di quelli, ulteriori e ben maggiori, che sarebbero stati arrecati in caso di un mancato intervento da parte degli Organi dello Stato.

 


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