ASCOLI PICENO – Un altro pezzo di “de-industrializzazione” che colpisce duramente il Piceno. Chiude la Prysmian Cavi. Di seguito un post di un ex dipendente, G.P. Presto ulteriori approfondimenti.

 

Ascoli Piceno, 27 febbraio 2015

La Prysmian Cavi (ex Pirelli ed ex CEAT) chiude i battenti.

In quella fabbrica ho avuto il mio primo lavoro “vero”. Iniziai il giorno prima che il gruppo Pirelli – capitanato da Tronchetti Provera – annunciasse la vendita della divisione cavi alla Goldman Sachs che lo ribattezzò in Prysmian.

Se la memoria non mi inganna, era il 1° giugno del 2005.

In questa vicenda vedo un sunto della storia italiana della Seconda Repubblica, della trasformazione irreversibile dalla “Repubblica Provvisoria” (come l’aveva chiamata profeticamente Guareschi nel dopoguerra) in una “Repubblica Precaria“. Privatizzazioni allegre (Telecom, in questo caso) che fanno da volano per aprire la strada a grossi gruppi finanziari internazionali, devastazione del comparto manufatturiero nazionale, precarizzazione totale addolcita da promesse di “lavorare un giorno in meno e guadagnare come se si lavorasse un giorno in più“.

Ma se tanti italiani ci hanno creduto, la colpa è anche la nostra.

In piccolo c’è la storia di un territorio che marcia a passo spedito verso il suicidio, convinto che “possiamo vivere di turismo” o che le start-up salveranno il mondo e altre cose del genere. Un territorio che diventa, ancora citando Guareschi, “un paese senza vita perché uomini, donne e ragazzi validi sono tutti a lavorare all’estero e qui abitano soltanto i vecchi coi bambini più piccoli“. Un territorio in cui si è innescata una spirale involutiva mortale in cui una classe politica “non proprio all’altezza” sembra avere abdicato al ruolo di guida capace di saper leggere gli eventi e prendere decisioni, con una buona fetta di responsabilità che ricade anche sulle nostre spalle di cittadinanza troppe volte miope, gretta, interessata solo al proprio tornaconto diretto.

Ci sono state eccezioni, certo, ma sono state poche, isolate e forse non troppo incisive. Prima se ne prende atto, prima si potrà ripartire.

Ancora più in piccolo c’è la mia storia.

Di chi comincia a lavorare convinto di poter fare qualcosa di buono per sé e per gli altri e si ritrova lontano quasi 600 chilometri ad avere la pelle d’oca ogni volta che vede anche solo una foto di Piazza del Popolo, dell’Ascensione, di un qualsiasi muro di travertino bianco.

Ai miei ex colleghi della Ceat (come è rimasta nel lessico degli ascolani) va tutta la mia solidarietà e il ringraziamento per avermi aiutato a “crescere”. Li ricordo tutti con la gioia discreta che accompagna la gratitudine.

Ma sotto c’è solo tanta rabbia.


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