AMATRICE – Proponiamo una raccolta di immagini scattate dalla fotografa di Monteprandone Pamela Lanciotti che la sera del 24 agosto si è recata, sulla spinta di una “necessità di raccontare per immagini il tormento dell’anima di quelle persone. Sono stata trascinata da una forza interiore”, nell’area colpita dal grave terremoto delle 3,36 del 24 agosto. 

Di seguito, a corredo delle foto, un sintetico resoconto scritto dalla stessa Pamela Lanciotti, che ringraziamo per la passione e la sensibilità dimostrate e messe a disposizione di tutti.

 

È stato un lungo giorno. Vissuto al contrario. È iniziato alle ventitré del 24 agosto. Decido solo a quell’ora di raggiungere Amatrice. Sentivo la necessità di raccontare per immagini il tormento dell’anima di quelle persone. Spinta da una forza interiore, reflex al collo, mi incammino verso il paese che ho sempre visto come il cuore d’Italia. Un cuore in pezzi, ora.

Sono entrata ad Accumoli in punta di piedi anche se nessuno dormiva. Mi hanno subito fermata. Due giovani in divisa. Doppio turno il loro. Provo a corromperli (si fa per dire) con una merendina. Gli strappo un sorriso. Non funziona. Mi dicono che non posso andare oltre – è pericoloso – e mi indicano la strada per il campo sportivo allestito dalla Protezione Civile. Nel buio incontro due reporter, ci scambio due battute. Vengono dalla Russia. Da Mosca ad Accumoli, mi sembra incredibile. Sono circa le due di notte.

Trascorro le ore a conversare con gli anziani del posto, stremati, stravolti. Occhi fissi nel vuoto. E conosco Pietro. Pietro è nato e sempre vissuto ad Accumoli, con i suoi due fratelli. La loro casa è crollata, loro sono vivi, per fortuna. Lo è anche Leone, il suo cane. Tornerò a trovarlo fra una ventina di giorni per riabbracciarlo.

Poi conosco Domenica, Marco, Settimio, Erminio. Domenica mi racconta della sua amica che non ha più notizie della figlia: lavorava ad Amatrice. E’ poco distante da noi, è lontana anni luce con il pensiero, con il cuore. Mi avvicino a lei. Continua a non vedermi. Ha in mano due o tre fazzoletti stralciati.  Non parla, il grande dolore è muto. Piango con lei. Non riesco a fotografarla. Non ce la faccio, non mi sembra giusto.

Sono le cinque,  torno in auto per riposare un’oretta. Chiudo gli occhi e sento una scossa violenta. Esco dall’auto urlando ma il paese è deserto. Tremo. E tremo fino a quando non arrivano i primi raggi di luce. E’ un’alba diversa. Dai colori sbiaditi. Torno dai carabinieri. Sono le sei. Questa volta, con le dovute precauzioni, mi lasciano entrare. Uno di loro mi accompagna nella casa dove è morta un’intera famiglia di Accumoli. E’ rimasto solo il tetto. Mi colpisce un’immagine: il Cristo di una chiesa con il braccio spezzato.

Riparto ed arrivo a Villanova, una frazione di Accumoli. In paese incontro solo pochi animali. Spaventati. Un cagnolino mi corre incontro. Trema. Un signore mi dice che il proprietario si chiama Giulio del Re, si trova al campo. Prendo il cagnolino e lo riporto al suo padrone.  Continuo il viaggio. Una navetta mi conduce ad Amatrice, dove regna il caos. Entro in paese, fin dove mi hanno fatta entrare e cerco spazio fra le decine di giornalisti giunti da tutto il mondo a testimoniare e raccontare il tragico evento. Li osservo. Mi avvicino e mi confondo in questo cocktail di lingue. Dietro di loro un gruppo di Vigili del Fuoco continua instancabile le ricerche dei dispersi. Provo a farmi spazio per fotografare e poi mi blocco. Per diverso tempo. Il mio sguardo si posa sui parenti in attesa dall’altra parte del nastro. Tra le macerie vedo una rosa.

Poco dopo ci faranno allontanare, la strada sta franando. Una signora da Amatrice mi saluta da lontano. Mi chiede come sto. Io le rispondo bene. Pochi minuti dopo si accorge di avermi scambiata per un’altra e mi chiede scusa. Io le parlo. Lei mi racconta che sta bene, è viva ma non ha più notizie dei suoi parenti giunti da Roma. Erano venuti ad Amatrice per la Fiera. Erano in sei. Nessuno le risponde al cellulare. In mano ha la sua rubrica telefonica impolverata. Mi fissa negli occhi. Occhi lucidi. Anche questa volta non riesco a fotografare.

Amatrice non esiste più, perché gli abitanti di Amatrice non ci sono più. E Amatrice vive solo con i suoi abitanti. Sono davvero in tantissimi in queste ore ad operare e collaborare. Non abbandoniamoli, restiamo loro vicini, come ieri, come oggi e come sono certa faremo domani. Ognuno come può. N o n   a b b a n d o n i a m o l i   quando la terra smetterà di ballare. Continuiamo a tenerli per mano. Soprattutto coloro che hanno perso il calore di mani familiari.

Ho ascoltato tantissime storie. Ho scattato 473 fotografie. Le immagini nella mia mente sono molte di più. In queste ore ho ascoltato molte critiche. Soprattutto nei confronti dei giornalisti. Spezzo una lancia a loro favore. Ognuno deve fare, con le dovute attenzioni, il proprio lavoro. Bisogna però saperlo svolgere bene il proprio mestiere. Bisogna gestire bene il tempo, usare il buon senso e soprattutto rispettare il prossimo. Non so se io sia riuscita nell’intento, spero davvero di non aver urtato la sensibilità di nessuno con queste immagini che vogliono solo mostrare, non dimostrare. La fotografia è memoria. La memoria è lo specchio in cui guardiamo gli assenti. Per non dimenticare.

 


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