ASCOLI PICENO – Mi permetteranno, i tanti amici ascolani, di aggiungere poche righe di commento alla trasmissione FuoriRoma andata in onda su Rai Tre lunedì sera. CLICCA QUI

Una trasmissione che avevo avuto modo di apprezzare per le puntate su Torino e Riccione e che attendevo con curiosità anche per Ascoli.

Una puntata, quella confezionata dallo staff di Concita De Gregorio, che si avvale di riprese e montaggi di alto livello e di un format apprezzabile. Eppure, vuoi per la maggiore conoscenza per le vicende ascolane, vuoi per l’impressione che avevo avuto in precedenza, l’intrusione di Concita nella Città delle Cento Torri non mi ha entusiasmato. Prodotto ben confezionato, testimonianze interessanti (il sindaco Castelli e il vescovo D’Ercole i più ascoltati). Ma è mancato il graffio, l’unghiata che serviva, magari, per una rivelazione se non approfondita, almeno in grado di creare uno scarto tra l’apparenza quotidiana e la verità un po’ sottaciuta.

Perché – e credo mi si perdoni l’intrusione da sambenedettese, ma a volte lo sguardo esterno consente di avere un punto di osservazione diverso – FuoriRoma ha indugiato più che sul presente e sul futuro, sul passato cittadino. Come se Ascoli non avesse nulla da offrire nonostante negli ultimi anni stia dimostrando una vivacità nuova. “Una città ferma agli anni Settanta”, e di qui gli scontri politici, gli estremisti di destra di ieri e di oggi (Viccei, Nardi e Casapound), il Grande Blek di Piccioni, Saturnino, il sindaco ex Fronte della Gioventù, l’importanza della Curia, la rete di associazioni cattoliche, la decadenza industriale – si salva tra i pochi dalla crisi la Fainplast di Faraotti, ma lui stesso dice “io sono di montagna, non sono ascolano”.

Un’Ascoli nera, chiusa, “isolata in una conca tra le montagne e attraversata dai fiumi“. Lo stereotipo ancora una volta rinnovato. Ma è così? Appena finito il programma sui social si è aperta una discussione, con molte riflessioni critiche. Alcune, tra le altre: “Sono stati qui due giorni, prendevano appuntamenti all’ultimo minuto”, altri: “Io ho parlato di tante cose, ma poi montano e tagliano come vogliono”, e via coi cinque secondi di luoghicomunismi.

Appesantire di passato e immobilismo una città già di per sé carica del tempo trascorso, un museo urbano di inestimabile splendore, no, non era il caso, Concita.

A meno che, davvero, non sia stato questo il mood che gli autori del programma hanno davvero carpito: perché se c’è un aspetto curioso è come spesso gli ascolani dileggino o ironizzino loro stessi sulla mentalità cittadina (chiusa, immobile, eccetera, già detto) salvo poi amare quei luoghi e quelle persone con l’amore forte che si ha per i luoghi natii.

Peccato, infine, che non si sia sentita alcuna voce da parte del potere bancario, accennato come tale nel servizio. E che, forse proprio in forza del suo potere, non compare. Neanche questa volta.


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