ARQUATA DEL TRONTO – Nei prossimi giorni, verrà consegnata l’area delle casette di Borgo 1 agli assegnatari che ne hanno fatto richiesta. Borgo 1 è la quarta area completata dopo Pescara del Tronto, Piedilama e Pretare.

I cantieri Sae delle aree di Spelonga, Borgo 2 e Faete sono, invece, ancora aperti.

Dopo oltre un anno dalla prima scossa di terremoto, le famose casette di legno sembravano essere un miraggio, che non avrebbe trovato conclusione. Tra ritardi, promesse, attese e incertezze le Sae hanno accolto e stanno per accogliere la maggior parte della popolazione arquatana.

Temporanee o no? Le soluzioni abitative realizzate dallo Stato sono state presentate come temporanee, emergenziali. Quanto combacerà con la realtà?

Dopo un anno le casette consegnate non hanno collocato tutti quelli che hanno fatta richiesta, un anno di attese infinite, chiusi dentro una stanza d’albergo. Nell’immaginario collettivo, si ascoltano commenti persino velenosi su una situazione, quella dei “terremotati”, che comincia a essere considerata scaduta, oltrepassata.

Perdere la propria casa, ritrovarsi a vivere in una camera d’albergo al mare, attendere una soluzione abitativa d’emergenza, rientrare, a fatica, perchè è giusto ribadire che il rientro in una nuova abitazione non è così facile, far fronte a difficoltà che la fretta di consegnare nei tempi previsti ha causato, tutto questo comporta sbalzi emotivi nelle persone, non si possono ignorare.

Rientrare è traumatico, ma necessario e vitale per ripartire, ricominciare da un’altra prospettiva. Quei paesi distrutti, quelle case sventrate, quei ricordi indelebili sono ancora lì, a ridosso delle casette di legno.

L’identità dei paesi d’Arquata, come gli altri dell’Appennino, non deve essere persa, ma stretta e conservata. I paesi di montagna non erano semplici agglomerati di case, ma storie che si intrecciavano. Se ogni casa era una storia, se ogni casa è andata distrutta, quella storia chi riuscirà a salvarla?

La memoria collettiva, la forza delle persone e l’aiuto di chi si è impegnato a far fronte all’immenso patrimonio artistico, storico, religioso dei paesi di montagna. Agricoltura, nuove tipologie di turismo,  sono le basi su cui gettare il futuro di Arquata.

E i Non Residenti? Sono parte integrante di quei paesi. Senz’altro vivono altrove, ma non oltre quella montagna che li raccoglieva spesso e li riportava a casa, se per casa si intende cuore.

Cosa si sta realmente realizzando, progettando per loro? Far ripartire Arquata, quei territori, significa riaprirli a chi li amava. Non possono chiaramente avere una soluzione abitativa d’emergenza, ma non possono ancora pensare di ricostruire la propria casa, non trovano collocazione che li ospiti adeguatamente.

Quei “non residenti” sono le 51 persone che hanno perso la vita a Pescara del Tronto e ad Arquata, sono quelli che tornavano nel rifugio sicuro, per loro si sta combattendo una battaglia che riconosca l’importanza di chi vuole abitare quei posti, per un’ora, un’estate o quando se ne ha il desiderio.

Il patrimonio artistico e architettonico di Arquata è fondamentale per conservare la storia di ogni paese.

Si sta recuperando adesso l’archivio comunale, dopo un anno sepolto tra le macerie. Quanto si potrà salvare, dopo tutto il tempo trascorso, nell’immobilità di un paese completamente distrutto, lasciato in balìa di se stesso, nell’impossibilità di raggiungerlo?

La cancellazione di tali simboli significa eliminare per sempre l’aspetto più importante di un luogo, quello antropologico, che racconta chi e come ha vissuto quel territorio. Non si può pensare di ricostruire paesi e interi territori, svuotandoli della memoria identitaria.

Ogni cosa è spezzata tra prima e dopo, perchè la maggior parte della popolazione ha scelto di tornare, per nessun altro motivo, se non per la forza d’appartenenza che subentra persino al terrore e alla paura, che ha sconvolto tutti in una manciata di secondi.

Le circostanze, il tempo che passa, i mesi invernali che stanno per tornare, quel 30 ottobre che si fa vicino e spaventa, quelle scelte che cambiano l’esistenza, la paura per il lavoro, la certezza ufficializzata che Pescara non sarà mai più quella che era, e forse anche altri paesi.

La ricostruzione è un termine che non ha confine e alcuna direzione precisa e coerente. Ci sono le perimetrazioni, le microzonazioni, i dati ufficiali dei sondaggi dei geologi, tutto fermo, in attesa, immobile come gran parte delle macerie.

Gli interventi e le procedure per la riparazione di danni lievi alle abitazioni sono lente e dispersive. Nel farraginoso marasma dei progetti e della loro approvazione, che rimbalza tra Ufficio per la Ricostruzione e tecnici del Comune, sono pochi quelli che hanno ottenuto il via ai lavori.

I proprietari o gestori delle attività commerciali che hanno subito l’inagibilità totale, dopo aver presentato la richiesta di delocalizzazione, attendono ancora l’inizio dei lavori. Daniela Caruso, gestiva un negozio d’alimentari a Borgo, è in attesa da un anno della nuova struttura per tornare a lavorare. Nulla ancora è stato fatto e vivere senza reddito non è più possibile, per lei come per altri, nella stessa condizione.

Le Istituzioni continuano a dire che “lo Stato c’è”, allora non deve perdere neanche un minuto, perchè nulla deve andare perso.

Troppa burocrazia, troppe carte, troppe richieste, sembravano paventare un rigoroso controllo, ma hanno generato un colpevole rallentamento.

Chi decide deve essere esperto, non c’è bisogno di rappresentanza ma di persone, fatte di competenza e cuore, che sappiano comprendere e gestire la direzione che prenderanno tutti i territori colpiti dal terremoto.


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