ASCOLI PICENO – Sull’elicottero de “La dolce vita”. Per poi precipitare giù, asfissiati, come il Guido Anselmi di “8½”. Euforia e malinconia. Ricordo e cronaca. Realtà e magia. Realismo magico.
Tutto condensato nel pomeriggio che fa da prodromo al gran finale di “Cinesophia, estetica e filosofia del cinema”, che dopo la partenza lanciata del 23, con il dibattito su Bergman e lo spettacolo serale “Non ti libererai di me”, sta concedendo gli ultimi scampoli di incanto nel suggestivo scenario del teatro Ventidio Basso di Ascoli. Rodata la formula ideata dall’associazione culturale Popsophia, che ha organizzato in tandem con il Comune e con la collaborazione dell’Ufficio Scolastico Provinciale: interventi pomeridiani di giornalisti, filosofi, studiosi e docenti sul tema del realismo magico (prima in Bergman, appunto, poi in Fellini) e “botti” finali con il Philoshow della sera.
Il 24 febbraio è stato il turno di altri tre momenti intensi ed altamente formativi (a presiedere palchi e platea molti studenti e insegnanti degli istituti scolastici, visto che Cinesophia vale anche come corso di formazione riconosciuto dal ministero). Prima Roberto Mordacci, preside della Facoltà di Filosofia dell’Università vita-Salute San Raffaele, che con sagacia ha fornito la sua chiave di lettura all’autobiografia magica del Maestro, quell’8½ in cui scrisse di sé, dei suoi retaggi, della crisi umana, esistenziale e artistica senza concedersi sconti, con l’autenticità dei grandi che poi è quella dell’uomo comune alle prese con aspettative, fallimenti, bellezza, trasgressione, gabbie. «Un film che non è un film», lo ha definito Mordacci riportando le influenze e gli omaggi che ne hanno segnato il percorso, dalla slapstick comedy fino all’impiccagione dei moralisti evocata da Nietzsche.
A seguire, Andrea Minuz, insegnante di storia del cinema presso “La Sapienza” di Roma, che con l’ausilio di semplici immagini ha parlato di realismo magico dal punto di vista dell’autore de “La strada”: prospettive deformanti che vengono dall’età infantile (il Rex di “Amarcord”), gli elementi naturali come trampolino verso l’inconscio, l’irreale (la nebbia in “Amarcord”, il vento e la pioggia di “I vitelloni”), gli spunti di cronaca che ne hanno sancito la specularità felliniana: «Molte immagini oggi riconosciute come tali, presero spunto da fatti dei rotocalchi che colpirono il regista, dalla Ekberg nella Fontana di Trevi fino all’elicottero che trasportava la statua di San Giuseppe, divenuta poi quella di Gesù ne “La dolce vita”», ha detto Minuz, citando anche “Roma” (uno dei film che più ha influenzato Sorrentino e il suo “The Young Pope”), “Prova d’orchestra” e lo sguardo in macchina dei personaggi divenuto sua cifra stilistica.
Chiusura con Marcello Veneziani, che agganciandosi all’immagine finale fornita da Minuz con Fellini in compagnia dei “suoi” sceneggiatori Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano, si è soffermato sul rapporto con quest’ultimo ai tempi de “La dolce vita”. «Un film nato sui tavolini dei caffè romani, nel continuo “cazzeggio” tra Fellini e Flaiano e il loro disincanto, nello sguardo dei due provinciali arrivati nella Capitale». Veneziani ha anche ricordato, divertendo il pubblico, numerosi aneddoti, tra cui la nascita dell’invadente “Paparazzo” (il cognome era di un ristoratore calabrese), le battute, lo spirito di due “animacce” di cui oggi si sente una gran mancanza.
Cinesophia, ha chiuso in serata alle 21,30 con “Il sogno – L’esistenza lucidamente onirica da Amarcord a Inception” lo show tra musica, teatro, cinema e tv arricchito dalla presenza del professor Umberto Curi.
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Estratto da “Fellini racconta, Raiuno, 1994 “…La verità è che io non ho voluto dimostrare un bel niente, non ho messaggi da inviare all’umanità. Mi dispiace proprio… Considero il cinematografo un giocattolo meraviglioso, un favoloso passatempo. Non ci sono compromessi su quello che faccio, è esattamente quello che sono. Il risultato finale è uno specchio che mi metto davanti e davanti al quale io non ho più il diritto di dir niente. Che cosa posso dire?”
Quando, per motivi che non sta a me indicare, abbiamo la necessità di spiegare una qualsivoglia forma d’Arte corriamo il rischio di raccontare una storia che spesso appartiene solo a chi sente questo personale bisogno. E’ una cerca che ognuno di noi dovrebbe compiere, con grande pazienza, nel proprio intimo e se è addirittura l’autore a lasciarci questa libertà non vedo il motivo per cui altri debbano spiegare ciò che non dovrebbe essere spiegato bensì…. vissuto.
E’ stata un’esperienza complessivamente positiva di indiscutibile qualità e professionalità, ma forse non essendo uno studente – pur avendo ancora molto da imparare – come pure nemmeno un docente, responsabile dell’insegnamento, ho comunque percepito un certo malessere, in taluni momenti, generato da un’azione “formativa” troppo invadente per essere accolta senza il bisogno di dover sciogliere alcuni legacci troppo stretti che impediscono alla fantasia e alla libera interpretazione di… respirare.