ASCOLI PICENO – La sezione Marche della Lega per l’abolizione della caccia lancia un’appello per uniformare, nelle cinque province, l’inizio della caccia al cinghiale

“Domenica prossima, 14 ottobre, si aprirà ufficialmente la stagione della caccia al cinghiale nelle Marche. – spiega il delegato Lac delle Marche, Danilo Baldini – Si inizierà con le province di Fermo ed Ascoli Piceno poi, a seguire, il 21 ottobre con la provincia di Macerata, ed infine il 1 novembre con le province di Ancona e Pesaro e Urbino.

Non si comprendono le ragioni “scientifiche” di queste aperture differenziate tra le varie province, come non si spiega il motivo per cui l’inizio della caccia al cinghiale nella Regione non venga uniformato su tutto il territorio al 1 novembre, così come previsto dalla legge nazionale.

Anche perché a metà ottobre gli alberi conservano ancora tutte le foglie e quindi le probabilità che si verifichino incidenti, anche mortali, dovuti alla scarsa visibilità, nel corso delle “braccate”, che sono la forma di caccia più pericolosa in assoluto, aumentano in modo esponenziale, come purtroppo dimostra la recente uccisione del giovane in Liguria proprio durante una battuta al cinghiale.

Ma la caccia al cinghiale dovrebbe essere abolita, anche perché recenti studi scientifici hanno dimostrato che, invece di ridurre il numero dei cinghiali in un territorio, ne provoca, di fatto, l’aumento. I ricercatori hanno infatti scoperto e dimostrato come, nonostante la forte pressione venatoria e le molteplici forme di caccia messe in atto, negli ultimi decenni la popolazione dei cinghiali in tutta Europa, soprattutto in Italia, sia cresciuta in maniera esponenziale. L’attività venatoria, infatti, colpisce soprattutto gli adulti e innesca quindi risposte compensative tra i cinghiali, diffondendoli maggiormente nel territorio.

In altre parole, la destrutturazione della popolazione del cinghiale, che si ha attraverso l’azione dei cacciatori (anche di coloro che hanno acquisito il ruolo dei cosiddetti “selecontrollori”), ne determina l’aumento del tasso riproduttivo, la riproduzione precoce delle femmine e un maggiore tasso di dispersione sul territorio tra i giovani, che sono poi quelli che creano maggiori danni alle coltivazioni agricole e che producono più incidenti stradali.

Oltretutto, la rivendita dei capi abbattuti ai ristoranti da parte dei cacciatori, espone i consumatori a seri rischi sanitari, visto l’aumento delle patologie di cui sono soggetti i cinghiali, come la tubercolosi, la brucellosi e la recente peste suina africana.

Quindi, l’unico modo per contenere la popolazione del cinghiale, ormai fuori controllo proprio per colpa della caccia, è quello di lasciar fare alla natura e, nel caso specifico, al suo predatore naturale: il lupo. Lo dimostrano i censimenti effettuati sul numero dei lupi e dei cinghiali nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, dove la caccia è vietata.

La presenza del lupo all’interno del parco, la cui stima é stata condotta attraverso osservazioni, monitoraggi e i dati relativi agli esemplari dotati di radiocollare, risulta essere stabile, così come quella del cinghiale, che ne rappresenta la preda principale.  Questo dimostra che le due specie, se lasciate in pace, riescono a trovare fra loro un perfetto equilibrio biologico, rendendo di fatto inutile l’attività di selecontrollo effettuata dai cacciatori, anche nelle aree protette.

Infatti i lupi prediligono le loro prede fra i soggetti più deboli, con il solo scopo della propria sopravvivenza, mentre i cacciatori scelgono volutamente di abbattere le femmine dominanti, con lo scopo di provocare un’esplosione demografica, ed avere così più cinghiali da uccidere e quindi più guadagni con la loro rivendita ai ristoranti di cacciagione.


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