ASCOLI PICENO – Si affida al social dei social, Facebook, il deputato del Movimento Cinque Stelle Roberto Cataldi, per definire la situazione politica del M5S. Una analisi che tuttavia trova insolitamente molti distinguo da parte dei commentatori del post, considerando che l’area social è quella storicamente più salda per la diffusione delle idee pentastellate. Pare superfluo specificare che nella distinzione di cui di seguito Cataldi inserisca implicitamente se stesso nel lotto dei “centristi”.

Non v’è dubbio. Il Movimento è l’unica formazione politica che trova il suo punto di forza nel suo essere “trasversale” e di racchiudere al suo interno “anime” diverse ma che condividono un unico obiettivo: cambiare il modo di fare politica per renderla trasparente e libera da condizionamenti.

Dalla fine della prima Repubblica abbiamo assistito alla nascita di nuovi partiti o al trasformarsi di vecchie sigle. Il panorama, però, è rimasto per diverso tempo invariato: basato su un bipolarismo che, di fatto, ha neutralizzato e assorbito centristi e moderati.

I cittadini sanno bene che, dietro a questo fare camaleontico, la politica non è cambiata se non nei suoi simboli. Oramai siamo tutti consapevoli che ciò di cui ci si lamenta è di fatto la “politica nostrana” e che il mondo politico, con i suoi difetti e le sue contraddizioni, è lo specchio della nazione stessa. Fastidiosa ma evidente realtà.

Come si fa dunque a prendere le distanze da un mondo che rappresenta la società di cui noi tutti siamo parte? Probabilmente non si può.

Eppure oggi qualcosa sta cambiando proprio a partire dal Movimento che non è più formato soltanto da “politici” di mestiere perché sono state aperte le porte anche alla popolazione civile, ossia a tutti coloro che nulla avevano a che fare con partiti, ideologie e schieramenti di vario genere.

Il risultato è stato quello di aver reso indispensabile, al suo interno, il dover prendere confidenza con il dialogo e il rispetto delle idee altrui. Si tratta di tre anime che però non hanno nulla a che spartire con le cosiddette “correnti” in assidua belligeranza interna. Tre anime che dialogano e che si muovono compatte proprio perché unite dalla condivisione di una tavola di valori al cui interno primeggia l’idea che si possa rendere la politica più vicina alle esigenze dei cittadini. Ciò che le accomuna è poi la volontà di evitare che il processo di formazione delle leggi possa risultare condizionato dagli interessi di lobbies di potere economico.

E’ vero, siamo in un epoca post ideologica, e tutte le forze politiche sembrano aver preso le distanze dal passato. Questo non significa però che siano scomparse le diverse “sensibilità” nel modo di approcciare ai problemi della società e nel modo in cui si propone di risolverli.

Proviamo ad azzardare un’analisi di dettaglio.

Cosa cambia tra un pentastellato di destra, uno di sinistra e uno di centro visto che ora, quasi per miracolo, riescono a dialogare e a trovare soluzioni condivise?

Partiamo dalle “anime di sinistra”. In genere si tratta di persone che hanno deciso di “militare” nel Movimento perché addebitano alle forze politiche da cui provengono, la responsabilità di aver tradito nei fatti quei valori a cui avevano dichiarato di volersi ispirare e di aver avallato anche una politica clientelare.

Queste anime hanno una caratteristica che le contraddistingue: l’empatia.

La loro modalità di approccio verso i diversi problemi della società è sempre basata su una sensibilità che predilige la solidarietà e il rispetto della persona. L’anima di sinistra è mossa da una prospettiva che mette in primo piano quello che dovremmo chiamare un “dovere di solidarietà” come base per ogni tipo di politica economica e sociale.

Ma veniamo alle “anime di destra”. Anche loro si dichiarano ormai distanti dalle esperienze del passato. Che si tratti di anime liberali, conservatrici o nazionaliste, in linea di massima sono persone più legate ai valori della tradizione, al senso del dovere, alla difesa dell’ordine sociale, all’individualismo. Ciò che vogliono è una minore presenza dello Stato nei processi economici industriali, prediligono il decisionismo e l’effettività dell’agire politico con minore propensione alla flessibilità. Sono più inclini, in questo senso, alla “tolleranza zero” anche se questo dovesse comportare dei “costi” umani.

E le anime di centro?

Nascoste, dalla fine della Prima Repubblica, all’interno delle diverse formazioni politiche di sinistra e di destra hanno trovato oggi una loro collocazione anche nel Movimento, proprio a ragione della sua trasversalità.

Sono loro, la novità, i new entry in Parlamento: i rappresentanti della popolazione civile eletti nei collegi uninominali. Essi rappresentano, o dovrebbero rappresentare, un punto di equilibrio, una voce “fuori campo” in grado di dare un contributo costruttivo di idee non ideologicamente condizionate ma basate sulla ricerca di soluzioni basate sul principio dell’equità, della ponderazione, del contemperamento dei diversi interessi in gioco.

Stiamo parlando di esperti di vari settori, docenti universitari, professionisti e persone che godono di una certa notorietà tra la popolazione civile e che allo stesso tempo condividono i valori e gli obiettivi del Movimento e per questo hanno deciso di appoggiarne il programma.

Essi però, in qualche modo, non “parteggiano” ed è proprio in questo senso li possiamo definire “centristi”.

E’ vero, quando si parla di “centro” si ha l’idea di avere a che fare con persone prive di idee, votate più al compromesso che alla scelta politica.

In realtà il centrista ha una consapevolezza: le diverse componenti della società sono tutte strettamente legate tra loro e devono necessariamente dialogare essendo tutte indispensabili per il funzionamento del sistema. Se non si trova un punto di equilibrio si rischia di creare scontri sociali e pericolose “disarmonie”.

I centristi sono in qualche modo più vicini a ciò che anima il pensiero dei giuristi il cui simbolo non a caso è quello della bilancia. Sono coloro che accorciano le distanze e costruiscono ponti.

In questo nuovo scenario, non solo il Movimento ma ogni gruppo politico dovrà ora fare i conti con un’Italia che ha deciso di cambiare e che confida in una classe dirigente che sappia uscire dalla sterilità delle polemiche e dare vita a un dibattito parlamentare che sia davvero costruttivo e che abbia come unico fine il benessere della popolazione.

Potremmo dire, citando il filosofo Guido Calogero, che “la vera democrazia non è il paese degli oratori, è il paese degli ascoltatori”. Ciò significa che attraverso una politica dell’ascolto e del dialogo sarà possibile operare realmente per il bene dei cittadini e recuperare quella credibilità nelle istituzioni che risulta ancora gravemente compromessa. Oggi una fetta sempre più grande della popolazione è perfettamente in grado di percepire la differenza tra politici e politicanti: i politicanti nel loro agire pensano solo ed esclusivamente alla visibilità mediatica, alle strategie, alle ricompense elettorali; i veri politici si preoccupano di più della gente e di risolvere i loro problemi. Ma soprattutto lo fanno senza secondi fini e senza chiedere nulla in cambio.


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