ASCOLI PICENO – I leghisti non festeggiano l’Unità d’Italia? Il Presidente della Provincia di Ascoli Piceno, Piero Celani, in una Piazza del Popolo gremita e festosa come poche altre volte, ha usato un poco di diplomazia per evitare una condanna aperta dell’alleato di governo (al momento assente nelle giunte picene ma, e San Benedetto sarà una prova, pronto a sostenere il Pdl anche nei Consigli Comunali).

A tal proposito suonano davvero limpide, però, le parole di Paolo Mieli, giornalista e storico, il quale durante la trasmissione Annozero, giovedì sera, ha detto: “Non c’è mica l’obbligo di festeggiare; leghisti ed altoatesini hanno il diritto di non riconoscersi in questa festa che pur così tanta passione ha sollevato nei cuori di moltissimi italiani”.

Una lezione di vero liberalismo, quella di Mieli. E’ bene anzi che persino sui valori fondanti della Repubblica – e l’unità territoriale ne è il primo presupposto – vi sia una diversificazione delle opinioni. Male sarebbe il contrario. Soltanto nelle dittature ed esempio lampante furono le “repubbliche democratiche popolari” dell’ex blocco sovietico, le maggioranze sono compatte e granitiche: il 99% dei voti, in quei casi, andavano tutti al Partito. Tutti uniti e contenti? Mica tanto.

Quello che però fa specie nella Lega, almeno per chi scrive, è altro. Il partito di Umberto Bossi da 25 anni si batte con ragioni contro il centralismo statalista e un evidente lassismo nella spesa pubblica che, pur verificabile da Campione d’Italia a Pozzallo, è avvertito come organico soprattutto nelle regioni sotto il ricatto della malavita.

Tuttavia questa avversione per lo “Stato” centralista, di recente spostata contro “l’Europa degli Stati“, nasconde una non meno inquietante sostituzione di un presunto Moloch con un altro. L’immaginario leghista riguardante una Padania che non esiste, il simbolismo del Sole delle Alpi, il Dio Po, i riti celti, il colore verde pedissequamente indossato da tutti i parlamentari con cravatte e fazzolettini, persino la pre-moderna e nepotistica inclusione di un giovanissimo figlio (Renzo, ma il Trota, non quello dei Promessi Sposi) ai vertici del partito solo perché il padre è il Senatur oramai leggendario tra i leghisti, Umberto Bossi: c’è, insomma – federalismo o secessionismo, o meno – il concreto rischio che, come ogni movimento in origine “rivoluzionario”, il movimento leghista sia ancor più centralizzato e oppressivo del nemico che da tanti anni afferma di combattere.

Ricordando però che lo Stato Italiano ha consegnato ad una forza potenzialmente “rivoluzionaria” il Ministero chiave, quello dell’Interno, nella gestione della propria sicurezza. Ma questo fa parte, più che della politica, delle comiche che da sempre caratterizzano la storia italiana, non solo politica. O forse anche ad una dose di saggezza che non fa prendere sul serio nemmeno gli aspetti in teoria più controversi.

Insomma: chissà se fra 200 anni si festeggerà ancora l’Unità d’Italia o se, invece, qualcuno potrà dissentire dalle celebrazioni di un eventuale “Piemont libero“, come invoca il Senatur al termine di ogni comizio.


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