ASCOLI PICENO – Pilar Carmona dal 2005 è presidente della Fundaciòn Flamenca Andalusa a Firenze, scuola di ballo in collaborazione con l’Accademia della Chitarra Flamenca.

Nel corso della sua carriera, collabora con la compagnia ispano-giapponese di Yoko Komanstubara Rithm of Dance, fusione di musica celtica e flamenco, con la compagnia Flamenco Libre di Juan Lorenzo, con Juaquin Cortes, Antonio Marquez, Josè Greco, Rafael Amargo, El Choro e molti altri artisti.

Nel 2008 è in tournè in Europa con i Gipsy King; si esibisce nei tablaos spagnoli, giapponesi, messicani e nei teatri di tutto il mondo; partecipa al Festival Internazionale di danza La Fenice di Venezia, al Taormina Arte Festival, al Festival Mundi a Roma, al Gala Evening Columbia University Medical Center a New York, con ospite d’onore l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton.

In tv su Rai Uno con Domenica In e Capodanno di Rai Uno (2008), su Sky Tv con Flamenco, al Festival di San Remo con Little Tony e Gipsy King e sulle reti spagnole con il programma Andaluse por el mundo.

Cosa rappresenta il flamenco per te?

Il Flamenco è la mia vita! Per me è tutto, è il mio lavoro e la mia passione. Mi ha dato e mi da tante soddisfazioni, non so cosa avrei fatto senza flamenco, mi basta ascoltare una chitarra per emozionarmi e sentirmi viva.

Negli ultimi anni in Italia sono sensibilmente aumentati i corsi di questo tipo di danza. Sport o filosofia di vita?

È vero! Sono arrivata in Italia, a Firenze, 12 anni fa e già c’erano delle persone interessate e curiose verso questa danza, ma erano poche e quasi esclusivamente nelle grandi città. Ora trovo che ci sia sempre più voglia di approfondire la conoscenza di questa grande arte in tutta Italia. Spesso si inizia come sport, poi ci si lascia trasportare e nasce la passione. Attualmente l’Italia ha un buon livello di professionisti del flamenco. A mancare sono i cantaores perché, secondo me, è la cosa più difficile da imparare se non sei nato in Spagna.

È una disciplina utilizzata anche a livello terapeutico. L’hai mai considerato in questo senso?

Devo dire di si, in tutti sensi. Mi spiego: muoversi fa bene al corpo ma sicuramente anche alla mente. Il flamenco riesce a trasportarti in una dimensione diversa che ti distoglie dalle difficoltà. Ho incontrato molte persone con gravi problemi familiari o di salute, che poi, mi hanno tanto ringraziata dopo aver conosciuto questa grande arte. Il flamenco ti fa esprimere e trasformare i sentimenti in arte, che siano questi di rabbia o di gioia.

Cosa si prova a ballare sullo stesso palcoscenico con artisti del calibro di Juaquin Cortes?

Grandi emozioni, momenti indimenticabili! Con Juaquin ho condiviso il palcoscenico in Giappone con la Compagnia di Yoko Komantsubara nell’opera Carmen. Quando lavori con artisti di questo calibro puoi solo imparare e assimilare il più possibile dalla loro professionalità. Ricordando quella bellissima tourné, colgo l’occasione per mandare un pensiero positivo a tutti i giapponesi visto il momento di grande difficoltà che stanno vivendo.

Tablao o teatro?

Tutti e due! Si inizia quasi sempre nel tablao. Io a 15 anni mi esibivo già nei tablaos di Còrdoba e Siviglia. Il teatro è arrivato a 18 anni con Mario Maya e lì sei già considerato un professionista. Devi imparare a stare sia nel tablao che in teatro e in entrambi i casi devi dare il massimo.

Hai sperimentato il flamenco fuso al tango argentino ed alla musica celtica. Quale senti di più?

Il Tango, senza dubbio. Devo dire però che quando ho lavorato con Rhythm of the dance in Inghilterra e Irlanda sono rimasta sorpresa dalla disciplina della danza celtica: è rigorosa dentro e fuori il teatro. Precisione totale.

Il flamenco in televisione si manifesta in tutta la sua essenza o forse perde parte della sua purezza?

Bueno… un po’ si. Perde molto dal punto di vista del contatto con il pubblico. Meglio se è dal vivo.

In tournè con i Gipsy King hai ballato in tutta Europa e tuttora giri il mondo per lavoro. Non hai voglia di fermarti?

Assolutamente no! Che farei senza il mio lavoro? L’artista è malato di palcoscenico. Potrei fermarmi solo per fare la mamma… per un po’ poi, un’altra volta al ruedo… in pista!

Andalusa di nascita, sei cresciuta nel clima flamenco per eccellenza. Hai mai ballato con i gitani delle cuevas granainas?

Con qualcuno ho lavorato, ma no, non ho mai ballato nelle Cuevas di Granada. Ballo nella mia cueva di Firenze.

Il flamenco in Spagna, in Italia, in Giappone. Quali le differenze di approccio?

In Spagna è nato. È la culla del flamenco e devi andare lì se vuoi coglierne l’essenza! Fra Italia e Giappone non saprei, diciamo che per tutte le persone che decidono di dedicare la vita al flamenco fuori dalla Spagna, è più difficile e ci vuole più tempo. In Spagna il flamenco lo vivi.

Come mai hai scelto proprio Firenze per divulgare la tua arte?

Tanti anni fa mi sono innamorata di un livornese, dopo quasi quattro anni di relazione a distanza decisi di venire a vivere con lui in Toscana. Il rapporto finì poco dopo però avevo già cominciato a lavorare con Flamenco Libre, la compagnia di Juan Lorenzo, in un’epoca in cui c’era davvero molto lavoro anche grazie al film Il Ciclone di Pieraccioni. Mi trasferii a Firenze perché fu una delle città che più mi colpì per la sua bellezza. Conobbi un gruppo di persone interessate al flamenco. Allora erano poche, ma è grazie a loro se oggi sono ancora qui.


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