ASCOLI PICENO – Fino a quel 3 novembre, giorno in cui fu chiamato alla guida dell’Ascoli, Fabrizio Castori, ex allenatore di Cesena, Piacenza e Salernitana, si era guadagnato la simpatia dei tifosi bianconeri per due caratteristiche: la nomina di grande tifoso del Picchio e la sua grande voracità, curriculum vitae tra i più graditi per uno che deve allenare sotto le Cento Torri. “Ci voleva un allenatore grintoso e voglioso di allenare l’Ascoli” disse allora Ubaldi, spiegando il cambio in panchina.
Ma pian pianino, da quella 13ma di campionato (Ascoli-Novara 1-1), il tecnico di San Severino (che vive a Tolentino), è riuscito a conquistare uno per uno i tifosi dell’Ascoli, da quelli che lo scoprivano quotidianamente all’allenamento, a quelli che allo stadio lo hanno sostenuto, amato fino a scandire in coro il suo nome, a coloro che hanno ammirato il suo gioco in tv. Già, il suo gioco. Perché, guai a dimenticarselo, l’Ascoli ha ottenuto la salvezza diretta non solo con la grinta, la rabbia dovuta alle penalizzazioni e alla coesione del gruppo, ma anche con uno sviluppo di gioco che Castori ha plasmato a immagine e somiglianza delle caratteristiche dei giocatori che aveva: un 4-5-1 che, all’inizio, sembrava dire ad ogni partita ‘prima pensiamo a non prenderle, poi…‘ e invece si è rivelato un modulo usato come strumento per dominare l’incontro e l’avversario in tante occasioni.
Si, perché, tra i tanti segreti di questa impresa c’è Pederzoli davanti alla difesa, scortato da due centrocampisti interni di grande corsa (Di Donato e Moretti) e non come centrale troppo scoperto in un 4-2-3-1; c’è che questi tre moschettieri davano ampia libertà di offendere alle due ali mantenute larghe, ma con licenza di accentrarsi o dare spazio alle sovrapposizioni dei terzini (Lupoli o Gazzola, Giorgi o Cristiano); c’è una punta del diamante che è chiamata a fare da sponda, da pressatore alto, da ‘specchietto per le allodole’ per le incursioni dei 5 alle sue spalle. Ruolo ricoperto, tranne che all’inizio, da Feczesin e Romeo, due lottatori, oltre che finalizzatori. A questo modulo, sempre più collaudato, si è aggiunto un possesso palla a volte ‘a ragnatela’, a volte in verticale, che partiva fin dalla rimessa dal fondo di guarna, e che, soprattutto in casa, ha meravigliato, ingabbiando le avversarie. Che si chiamassero Atalanta o Portogruaro, poco importava: l’Ascoli entrava in campo per dominare e cercare la vittoria. E’ ovvio che qualche partita è stata giocata o impostata male, come quelle di Crotone, Novara o Padova, ma sono le classiche eccezioni alla regola che avevano sorpreso, visto che la squadra stava abituando a ben altro.
Ma, pur con qualche innesto nei punti chiave avvenuto a gennaio (Calderoni e Feczesin su tutti), i giocatori erano sempre gli stessi di inizio anno, con una differenza: il fuoco dentro ad ogni pallone vagante di ogni partita. Ecco allora che, come ha detto Di Donato dopo Ascoli-Triestina, uno dei meriti del mister è stato anche quello di saper toccare le corde giuste, di carpire da ognuno il massimo delle potenzialità, di far sentire importanti anche coloro che giocavano meno: da Ciofani a Mendicino, da Marino a Romeo. Cosa che è mancata nei primi mesi del campionato.
I numeri, infine, parlano chiaro: con Gustinetti (12 gare), l’Ascoli aveva ottenuto sul campo 10 punti (0,95 a partita), realizzato 13 gol e subiti 18 (1,5 a partita); con Castori (30 gare) i punti sono stati 46 (1,53 di media), le reti fatte 31, ma soprattutto, quelle subite 30, ovvero 1 a partita, che ha permesso alla squadra di avere la nona difesa del campionato. Riguardo quelle fatte, un dato solo è significativo: è vero, non c’è stato un bomber con la b maiuscola (Feczesin è arrivato a 8), ma la truppa bianconera, come sintomo della totalità del suo gioco, ha portato in rete ben 18 giocatori (compresi Djuric e Bonvissuto), e talvolta anche grazie ai ricambi in panchina.
Insomma, vincere e ottenere un obiettivo è bello ed emozionante. Ma vuoi mettere ottenerlo con pieno merito, divertendosi e facendo anche divertire? Merito di un gruppo di uomini e del suo abile condottiero.
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E’ proprio così: il merito è di tutti. Merito del mister e della squadra in campo per i motivi espressi egregiamente nell’articolo. Merito dei tifosi che sono stati sempre vicini alla squadra sostenendola all’inverosimile nei momenti belli ma soprattutto in quelli brutti: chi non ricorda la partita contro il Torino, sotto di quattro gol e la squadra acclamata sotto la curva? Merito, onestamente, anche della Società che a gennaio non ha smantellato la squadra ma, anzi l’ha rafforzata con elementi importantissimi.
Se alla Società bisogna riconoscere un merito in questa impresa, la stessa deve riconoscere, prima che sia troppo tardi, che è giunto il momento di fare la cosa più importante: cedere questo patrimonio della città a persone che tengono veramente ai colori bianconeri oppure governarla con lo stesso spirito che ci fece ripescare in serie A per la bontà dei bilanci.
Domenica ho riprovato quelle emozioni che non provavo da tanti anni. E’ stato bello poter indicare ai miei figli che il vero Del Duca era quello! Altro che San Siro!
Un’ultima cosa: complimenti ai ragazzi della curva che hanno fatto ritornare, piano piano, le bandiere allo stadio e, con quella scritta, 1898, hanno fatto capire all’Italia intera che Ascoli ha una storia più che centenaria che non può finire così facilmente.
FORZA ASCOLI!!!!!
Grazie, Riviera, per queste deliziose parole che descrivono il tuo attaccamento alle vicende dell’Ascoli. Continua a seguirLo sul nostro portale e, se lo ritieni opportuno, inviaci dei suggerimenti, richieste o domande relative ai bianconeri.
Ciao e sempre forza Picchio!!