ASCOLI PICENO – L’attore è sempre e comunque un’anima tormentata? Forse sì, se dobbiamo prendere a esempio Francesca Inaudi, che prima della rappresentazione di venerdì al Ventidio Basso di Ascoli, si è presentata all’incontro con la stampa scocciata e scontrosa, con l’aria e il tono sprezzante di chi avrebbe di meglio da fare e ci tiene a farlo sapere.

Peccato che all’atteggiamento da diva non corrisponda una performance travolgente in grado di riscattare l’attrice da cotanta maleducazione della persona. Il vero protagonista della riduzione teatrale di Samuel Adamson dal romanzo di Truman Capote è comunque lo scalcinato scrittore William Parsons, un bravo Lorenzo Lavia che, da voce narrante della storia e alter ego di Capote, dà spessore e intensità al timido e insicuro vicino di casa di Holly Golightly. È attraverso i suoi occhi che conosciamo lei e la sua corte variegata di amici e amanti, dal barista Joe, che la adora a distanza, al diplomatico brasiliano Josè, che promette di sposarla ma poi l’abbandona quando l’amicizia con il mafioso italoamericano cui fa abitualmente visita a Sing Sing la coinvolge in uno scandalo.

L’interpretazione di Lavia è la sola cosa davvero convincente, insieme alle scene di Gianni Carluccio e ai costumi di Alessandro Lai che ricostruiscono un ambiente suggestivo ed efficace, ma la Holly di Francesca Inaudi confonde la leggerezza con l’insipidità e la grazia svampita che fu la cifra di Audrey Hepburn, ma ancora di più della Marilyn Monroe cui Capote si era ispirato, con una vacua alternanza di euforia e bronci adolescenziali. Il risultato è irritante più che accattivante e, malgrado i lodevoli sforzi dei comprimari, la commedia non ce la fa a sollevarsi dal piattume: non diverte e non commuove e fallisce nell’intento di stimolare quell’empatia capace di coinvolgere il pubblico nelle vicissitudini dei personaggi.

Per quanto il regista Pietro Maccarinelli, eccezionalmente presente in teatro, rivendichi una maggiore fedeltà della riduzione teatrale al romanzo di Capote, rispetto alla più nota versione cinematografica, non si può dire che sia un esperimento riuscito. In un Ventidio tutt’altro che gremito, il pubblico non ha comunque risparmiato gli applausi alla fine della rappresentazione, anche se è comprensibilmente mancato l’entusiasmo visto in altre occasioni.


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