ASCOLI PICENO – Ci siamo già espressi di recente sulle pericolose conseguenze che si avrebbe dall’applicazione del pareggio di bilancio (parità tra entrate e uscite dello Stato in un anno, ovvero tra spesa per servizi pubblici e tasse e imposte) addirittura nella Costituzione. Qui potete leggere il nostro precedente articolo dove è tra l’altro linkato l’articolo con il quale otto premi Nobel all’economia americani si appellavano, la scorsa estate, al presidente Obama per non commettere una simile sciocchezza.

Sciocchezza che l’Italia Hi-Tech dei professori sta invece compiendo (a differenza dei più saggi americani), con il supporto incosciente (perché assolutamente ignaro delle conseguenze, ma soltanto docile come docile deve essere una pecora di fronte al lupo) del Parlamento italiano, che si accinge a modificare la Costituzione nell’assenza di un minimo dibattito pubblico. Stampa di ogni ordine e grado assente, partiti, non parliamone.

Ci fermiamo qui nelle considerazioni economiche e non arriviamo neanche a ricordare che la disciplina in pareggio di bilancio è incastrata dentro il Fiscal Compact (“Patto fiscale”) altro complicato marchingegno fiscale applicato ai paesi dell’Unione Europea con probabili effetti regressivi e distorsivi fra i popoli dell’Unione (l’unico modo per rispettare questo trattato firmato dall’Italia è un rapido impoverimento, causa manovre annuali di 40-50 miliardi annui, che potrebbero non bastare).

Il punto è che i sostenitori di queste misure immaginano che il pareggio di bilancio sia utile a fermare la “sete di tasse” delle amministrazioni pubbliche.

Invece è facile prevedere che il pareggio di bilancio sia lo strumento attraverso il quale la tassite delle amministrazioni pubbliche cresca senza davvero trovare ostacoli, perché gli oppositori di un incremento dell’imposizione statale si vedrebbero costretti ad accettare qualsiasi tipo di gabella proprio in virtù di una legge costituzionale non contestabile.

Facciamo qualche esempio.

Poniamo che nell’anno 2013 l’Italia decida, per l’anno successivo, il 2014, di spendere 100 euro e di incassarne altrettanti attraverso la tassazione.

Durante il 2014 però alcune spese sono andate leggermente fuori controllo: potrebbero essere nel settore sanitario, ad esempio. Ma la casistica potrebbe applicarsi per ogni settore, incluso ad esempio un settore al momento non governato dagli Stati, ovvero quello dei tassi di interesse sul debito pubblico, che se aumentano (un anno fa lo spread era a 122, oggi è a 354) fanno saltare tutti i conti precedenti. L’unico modo che si avrà per rispettare il nuovo e modificato articolo 81 della Costituzione sarà inserire velocemente qualche nuova imposta, come avvenuto in corsa la scorsa estate: aumento dell’Iva, accise su benzina, alcol e tabacchi.

L’anno successivo ci troviamo ad un livello (esentandoci per semplicità dai calcoli inflazionistici) di spesa pubblica a 103 e tasse a 103 per il 2015. Un governo ottimista deciderà di portare la spesa a 100, quindi al livello previsto per l’anno precedente, tagliando l’incremento di “3” registrato nel 2013.

Nonostante questo ulteriore vincolo, e non considerando gli effetti sociali del nuovo taglio, accade che la spesa non riesca a contrarsi, per una serie di fattori (sanità, interessi aumentati, pensioni a causa di un leggero aumento della vita media negli anni precedenti, nuovi sussidi alla disoccupazione), e magari che le entrate, per la crisi economica (magari causata proprio dalla recessione indotta dal Fiscal Compact), siano anch’esse diminuite.  Abbiamo una situazione di 104 di spesa, e 99 di entrate. Di nuovo, a settembre/ottobre, intervento tampone e aumento dell’imposizione fiscale di 5 punti attraverso varie forme di accisa e via dicendo.

Nel 2016, il governo allarga un poco il valore delle spese considerando la crisi in corso e i sussidi alla disoccupazione crescenti, ma deve rispettare i vincoli di pareggio scritti in Costituzione: 102 a 102. Nel corso dell’anno, ancora una volta, la spesa sale invece a 105 e le entrate scendono a 100: ecco che è obbligatorio intervenire con nuove tasse, per portare il livello a 105.

E via così.

Quindi, nel caso di una mancata crescita dell’economia adeguata a compensare i livelli di imposizione fiscale richiesta nel caso questi rischino di diminuire (la nostra situazione attuale), l’unico modo per raggiungere il pareggio di bilancio nel caso vi siano degli elementi di spesa fuori controllo (esempio interessi) è aumentare tasse e imposte.

L’aumento delle tasse e delle imposte ha effetti negativi sull’economia che, negli anni successivi, rischia di avvitarsi in una spirale recessiva considerando che lo Stato italiano a) non potrà neppure spendere a “deficit positivo” per dare “ossigeno” all’economia (si legga la nostra pagina MMT, “nessun vincolo finanziario”, Stephanie Kelton, ndr); b) non potrà svalutare la propria moneta permettendo un aumento delle esportazioni.

Quello che abbiamo stilizzato con esempi semplici e di immediata comprensione può servire a capire che il rischio del pareggio di bilancio risiede anche nella possibilità che le tasse aumentino. Coloro invece che sostengono la necessità del pareggio di bilancio rigidamente iscritto nella Costituzione vedono solo l’altra metà del bicchiere, ovvero la possibilità di tagli alla spesa che conducano alla riduzione delle tasse.

Rimandiamo ancora alla MMT per capire inoltre che queste grandezze finanziarie (debito, tasse) possano essere diversamente interpretate e adoperate in caso di moneta fiat sovrana.

Qualcuno può obiettare che saranno gli elettori a premiare il governo che dimostrerà di saper domare la spesa pubblica. Il problema è che quello sarà il governo che, ad eccezione di una imprevedibile pioggia d’oro, probabilmente renderà i propri cittadini più poveri ancora e quindi difficilmente sarà riconfermato.

 

 

 


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