Riceviamo e pubblichiamo da Lorenzo Licini, nipote dell’artista Osvaldo Licini, la seguente richiesta di rettifica:

Spett.le Redazione di Piceno Oggi di Riviera Oggi,

sul sito internet www.picenooggi.it è apparso un articolo di Claudia Cinciripini (dal settimanale Piceno Oggi n. 916 del 30 aprile 2012) intitolato “Caterina Hellstrom: “Mio padre Licini, grande uomo oltre che artista” La vita semplice a Monte Vidon Corrado, l’amore tra il pittore e sua moglie Nanny, e il dolore per la loro perdita raccontati dalla figlia adottiva”.
Desidero precisare che, contrariamente a quanto riferito in tale articolo, Osvaldo Licini – mio nonno – non effettuò alcuna adozione e, pertanto, non ebbe mai una figlia adottiva. In realtà, Osvaldo Licini ebbe un solo figlio, Paolo (mio padre).
Vorrete, quindi, pubblicare la relativa rettifica.
Nell’attesa di un vostro cortese riscontro, vogliate gradire i miei saluti migliori.
Lorenzo Licini

N.B. L’autrice dell’articolo era a conoscenza del fatto che Osvaldo Licini avesse avuto un figlio naturale, da una precedente relazione e che poi, dopo aver sposato Nanny Hellstrom, avesse cresciuto nella sua abitazione “come una figlia” Caterina, la quale di fatto porta il cognome della moglie di Licini, sua madre adottiva. Teniamo ad aggiungere che non era nostra intenzione entrare nelle questioni private delle due famiglie e che il particolare dell’adozione era per noi secondario. Ci scusiamo pertanto con il nipote dell’artista.

Dal settimanale Piceno Oggi n.916 del 30 aprile 2012

ASCOLI PICENO – È una donna umile e discreta, la signora Caterina Hellstrom. Pensionata di 72 anni, vedova e senza figli, si divide tra la casa e l’impegno nella chiesa di Sant’Angelo Magno, di cui è la referente. La si potrebbe confondere con una delle tante signore ascolane che fanno la spesa sotto casa, se non fosse per un particolare, non di poco conto, che la distingue dalle altre. Già, perché Caterina non è una qualunque, ma è la figlia adottiva del grande pittore astrattista Osvaldo Licini e di Nanny Hellstrom, la pittrice svedese, conosciuta dall’artista a Parigi e sposata nel 1925. Dopo il matrimonio i due si stabilirono definitivamente sulle colline fermane di Monte Vidon Corrado, paesino natale dell’artista. Ed è lì, lontano dai riflettori, in quel piccolo borgo fatto di contadini ed artigiani, che il pittore astrattista componeva le sue Amalasunte e dava sfogo al suo estro. Un talento che gli è valso, tra l’altro, la vittoria alla Biennale di Venezia nel 1958.

Che età aveva quando è stata adottata da Licini e da sua moglie?

“Avevo appena 8 giorni, nel 1940. Mia madre è morta durante il parto e così mio padre, poiché i Licini erano nostri vicini di casa e non potevano avere figli, decise di affidarmi a loro. Io li ho sempre chiamati ‘mamma’ e ‘babbo’ e considerati come miei genitori. Una volta mamma (Nanny ndr) aveva provato a farmi dormire nella casa del mio padre naturale: ricordo che era Natale e si festeggiava il fidanzamento di mia sorella, ma io iniziai a piangere e a mezzanotte furono costretti a riportarmi a casa”.

Che ricordo ha di Osvaldo, che padre era?

“Ho un bel ricordo di lui. Era un padre molto affettuoso ma al tempo stesso rigido. In paese era benvoluto perché non disdegnava di frequentare i contadini e la gente umile, con cui era solito fare scambi e doni, una pratica molto diffusa all’epoca. Ricordo che quando ha vinto la Biennale di Venezia nel 1958 io e mia madre l’abbiamo visto in televisione e poi siamo andati a Venezia a prenderlo (ndr Caterina ci mostra una foto del padre che stringe la mano al Presidente della Repubblica Gronchi). Quando siamo tornati dopo due giorni tutto il paese ha preparato una festa: è stato bello, c’era anche la banda musicale di Sarnano che suonava”.

Forse anche per questo è stato eletto sindaco.

“Sì, è stato sindaco di Monte Vidon Corrado per 10 anni. Ricordo che svolgeva le sue mansioni da casa, che per questo motivo era sempre piena di persone”.

Invece di sua madre Nanny, cosa ci racconta?

“Mia madre era una bravissima illustratrice, anche se poi aveva un po’ abbandonato l’arte per dedicarsi completamente al marito e alla famiglia. Era una bella donna, con una grande cultura, sapeva 5 lingue e proveniva da una famiglia molto benestante della Svezia. Per il marito, per il quale nutriva un amore smisurato, aveva saputo adattarsi e rinunciare anche un po’ agli agi della sua precedente vita. Ricordo che quando mio padre morì per enfisema, l’11 ottobre 1958, era disperata e diceva: “Faccio come la moglie di Modigliani, mi butto dalla finestra”. È stata dura affrontare questa perdita. Io all’epoca avevo 18 anni e questa è stata un’esperienza che mi ha segnato molto”.

Qualche anno dopo se ne è andata anche sua madre. Era pronta ad amministrare l’eredità dei suoi genitori?

“No, non ero pronta e non sapevo nulla di quello che entrambi avevano deciso. La loro morte mi ha lasciato una grande responsabilità che da sola era difficile da gestire. In parte poi mi ha aiutato mio marito che era professore di disegno (ci siamo sposati nel ’67 e io mi sono trasferita in Ascoli). Ho ceduto tutto di quanto apparteneva loro, in un certo senso sono stata quasi costretta a cedere”.


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