Solo andata: righe che vanno troppo spesso a capo” è un romanzo in versi del 2005 che racconta il viaggio di un gruppo di migranti. All’epoca ricordo che mi incuriosì, innanzitutto perché Erri De Luca lo conoscevo per le sue opere narrative e ignoravo le sue poesie, e poi perché in quei versi brevi, il viaggio, l’Africa, l’anonimato dei “migratori”, la legge della sopravvivenza, lo sfruttamento, prendevano corpo attraverso il punto di vista dei migranti. L’autore si era infilato nei panni degli altri, si era immaginato testimone di un “viaggio a piedi”, “pista di schiene” che non offriva alcuna consolazione perché “Isola non è arrivo”.

Era un colpo al cuore, in modo letterario, alla legge Bossi-Fini che, da alcuni anni, picchiava duro sui respingimenti e le espulsioni. Il cantautore Gianmaria Testa lesse il libro di De Luca e vi prese spunto per comporre il suo album, “Da questa parte del mare”: due stili si intrecciavano e sceglievano di dare vita a storie di migrazioni contemporanee. L’urgenza era quella di colmare una distanza tra le coste di uno stesso mare poiché “toccano Italia, meno vite di quante salirono a bordo./ A sparigliare il conto la sventura, e noi parte di essa./ Eppure Italia è una parola aperta, piena d’aria“.

Nello stesso anno di “Sola andata” un certo Bilal, di origini curde, venne ripescato dal mare vicino a Lampedusa e rinchiuso nel Centro di permanenza temporanea per 8 giorni, era in realtà il giornalista Fabrizio Gatti che ebbe modo di raccontare all’opinione pubblica, in un’inchiesta memorabile, le violenze e i soprusi che i clandestini erano costretti a subire. Così De Luca: “Separano i morti dai vivi, ecco il raccolto del mare/ mille di noi rinchiusi in posto da cento“.

Si era ormai creata l’emergenza dei flussi migratori ma “Italia” era una parola chiusa. Nel 2009 venne introdotto il reato di immigrazione clandestina e, per tutti coloro che riuscivano ad arrivare sui barconi, la vita si fece sempre più difficile. Quando si muore di stenti o sotto le bombe, ogni condizione viene accettata, il Cie, il carcere, le nuove forme di schiavitù: “Spaliamo neve, pettiniamo prati, /battiamo tappeti, raccogliamo il pomodoro e l’insulto, /noi siamo i piedi e conosciamo il suolo passo a passo /noi siamo il rosso e il nero della terra, / un oltremare di sandali sfondati”.

A distanza di anni i versi di Erri De Luca continuano a parlarci di libertà negate e di corpi annegati nel fondo del mare nostrum. Per questo lo abbiamo voluto sentire.

“Solo andata” oggi è diventato un concerto creato insieme al Canzoniere Grecanico Salentino che, in queste settimane, lei sta portando in giro in diversi teatri italiani. Sotto quale spinta nasce l’idea? Si può rintracciare un legame tra la musica popolare salentina e il dramma di chi fugge?

“La maggiore epica del nostro tempo è data dai viaggi di malasorte e di azzardo delle miriadi in esodo da terre impossibili. Ho scritto con “Solo Andata” un mio avvicinamento a questi nuovi emigranti. Ho fatto parte dell’ultima coda dell’emigrazione italiana da operaio in città del nord. Mi sento un loro lontano compagno di viaggio. Il Canzoniere ha preso una di quelle mie pagine e ci ha aggiunto una musica che è una voce potente. Oggi la portano in giro e io sono loro ospite sui palchi. Il Salento e la Puglia sono terre di Oriente, le prime a ricevere il sorgere del sole e lo sbarco delle civiltà del Mediterraneo. Conoscono gli sbarchi, gli attraversamenti, i flussi della storia”.

Siamo stati anche noi stranieri eppure non siamo capaci di affrontare un contesto migratorio. Li lasciamo annegare per negare” ascoltiamo nel videoclip girato da Alessandro Gassman “Solo andata”, cosa ci sta accadendo? (Link al video)

“Succede che da buona distanza non riusciamo a mettere a fuoco i singoli, le facce, le avventure. Ma appena le incontriamo da vicino l’incontro è da persona a persona. Ognuno di noi in privato ha fatto qualcosa per aiutare una di queste persone. Quando invece ci deve pensare lo Stato, allora le persone diventano numeri e l’aiuto diventa un affare. L’accoglienza, l’integrazione da noi avviene a dispetto di ogni direttiva contraria”.

Perché spaventa il confronto con il diverso? In un’intervista Rai del 2001 lei affermò: “Bisogna immaginarsi che il mondo è una patria unica, oppure saremo tutti immigrati”, ci spieghi.

“Siamo tutti diversi. Spaventoso sarebbe il confronto con l’uguale, con il sosia. Esiste un tempo di prudenza e di timore che sfocia nel secondo tempo dell’incontro. Una losca politica pretende di cristallizzare il primo tempo e specularci sopra. Il secolo scorso ha inaugurato il tempo delle immense migrazioni. Il mondo mescola le sue carte e i suoi semi, le patrie sono solo un luogo di origine, non più la sede dei popoli. I popoli sconfinano con passaporto o senza”.

In Italia il dibattito sui migranti ha raggiunto un alto livello di scontro, di fronte all’emergenza prevalgono chiusura, razzismi e populismi, sia Grillo che Salvini convergono per esempio sull’espulsione di tutti coloro che chiamano “irregolari”, lei come interpreta le posizioni del Movimento 5 stelle?

“Considero esercizi di retorica vuota i richiami alle espulsioni. La destra ha governato a lungo in questo paese, Lega compresa, e non ha impedito che il nostro paese oggi sia irrorato dalle energie di milioni di nuovi residenti, quasi tutti entrati fuori regola. Un paese spalancato, aperto alla geografia come il nostro deve solo fare da ponte di passaggio. Ogni altra pretesa di contenimento di flussi migratori è propaganda per elettori sprovveduti“.

Ciò che sta succedendo in Grecia nel villaggio di Idomeni, lo sgombro del campo profughi “la giungla” a Calais, e il fatto che il presidente ungherese Orbàn voglia organizzare un referendum sull’accoglienza di poche centinaia di richiedenti asilo che secondo lui “minacciano l’identità culturale, religiosa ed etnica” del suo paese, sono segnali inquietanti del panico che si sta diffondendo sui migranti. L’Europa intera scricchiola sotto il risveglio dei nazionalismi, è la fine di un progetto politico?

“L’ Europa ha le doglie, credo che di fronte allo sfaldamento troverà le ragioni per rafforzarsi e magari perdere per strada i paesi meno convinti di abitare uno spazio comune”.

Per l’uccisione del giovane ricercatore in Egitto, Giulio Regeni, lei ha parlato di “delitto di stato”. L’Italia si sta muovendo in maniera adeguata per cercare la verità sul caso?

“La macchina complessa che va da un rapimento in strada in pieno giorno a una sequenza interminabile di torture scientifiche appartiene alle competenze di un apparato statale con garanzia di impunità. L’Italia si è mossa male, Regeni è un cittadino europeo e la voce che chiede informazioni prima e giustizia poi, deve essere europea. Ma la diplomazia italiana è inadeguata all’importanza dell’Italia, a rappresentarla e a farne valere le ragioni su questo caso. Fosse capitato a un inglese, si sarebbe mossa la diplomazia europea compatta e intera”.

Dopo essere stato accusato di istigazione al sabotaggio per una sua frase sulla linea ferroviaria ad alta velocità, nel libro “La parola contraria” (2015) lei ha affermato che: “Per uno scrittore il reato di opinione è un onore”, perché?

“Perché le sue parole, le sue convinzioni sono giudicate capaci di influenzare comportamenti e determinare azioni. Questo potere attribuito alla parola di uno scrittore è un involontario premio letterario”.

Il suo caso giudiziario ha suscitato appelli di vario tipo, François Hollande per esempio sostenne la sua causa ma in Italia lei rilevò, in diverse occasioni, che gli intellettuali erano stati conformisti e assenti, come si è spiegato questo atteggiamento differente? 

“Mi hanno attribuito un’influenza non riscontrata neanche in capi di partito che hanno in varie occasioni incitato i propri iscritti a commettere reati. Ma oggi quella accusa è caduta, per sua falsità e per contrasto con l’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di espressione”.

Il fronte No Tav, in Val di Susa, sta continuando la sua lotta, secondo lei proseguirà questo progetto ferroviario?

“Il progetto si estinguerà per mancanza di copertura finanziaria. Si stanno spartendo il fondo cassa”.

Il 17 aprile ci sarà il referendum sulla questione delle trivellazioni nell’Adriatico entro le 12 miglia dalla costa. Cosa ne pensa di questo appuntamento elettorale? (Link alla Gazzetta Ufficiale)

“Decisivo: è il momento, è l’ora di difendere il nostro suolo, l’aria, il mare scippando dalle mani del governo la sovranità su questi beni pubblici. È certa la maggioranza degli italiani contraria alle trivellazioni, stupro di sottosuolo e di fondali marini. La tattica del governo è di non far raggiungere il quorum dei votanti. Ringrazio questa domanda per ribadire la necessità di una corsa alle urne il 17 aprile. Mettere un cerchio rosso sulla data del calendario, si vota per legittima difesa”.


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