Foto di Francesco Riti

ARQUATA DEL TRONTO – Un camino accesso dove arrostire le caldarroste, un tavolo che raccoglieva la famiglia, tornare nella casa di montagna per trascorrere le festività natalizie.

Il terremoto ha distrutto le case, modificando anche le abitudini. Rientrare nelle SAE, reinventarsi un nuovo stile di vita, ritrovarsi a vivere in un villaggio, con i pro e i contro che tale situazione comporta.

Se gli abitanti delle aree SAE di Arquata potessero scrivere una lettera a Babbo Natale, essa conterrebbe parole come comunità, tradizioni, scambio relazionale.

Questi desideri sembrano irraggiungibili, poichè sono poche le strutture che potrebbero raccogliere le persone, o semplicemente un bar dove, con la scusa di un caffè, si posso scambiare quattro chiacchiere.

Le persone più anziane sono costrette a rimanere nelle loro nuove case, che difficilmente impareranno mai a sentirle proprie, con le temperature invernali stare fuori diventa complicato, l’unico passatempo è guardare la tv.

Ad Arquata, la Cittadella di Pescara del Tronto non è ancora completata, non sono ancora pronti i negozi di alimentari e i bar. Qualsiasi attività sembra difficile da concretizzare.

I residenti, per ora, posseggono solo una “casetta di legno”, per quello che riguarda i non residenti quest’anno dovranno rinunciare a trascorrere le festività nei luoghi natii, o decidere di soggiornare nelle località vicine e accontentarsi di tornare nei paesi per qualche ora soltanto.

Luigia D’Annibale abitava a Trisungo, è rientrata da qualche mese nella SAE di Borgo 1. “Siamo tornati con tanta voglia e speranza di veder rinascere i nostri amati paesi ma è tutto molto difficile – spiega Luigia -Le comunità sono disgregate e si soffre un gran senso di solitudine perché le SAE non le sentiamo nostre , sono case prive di ricordi , profumi e atmosfere delle nostre case. Inoltre si è fatto niente per ricreare la comunità attraverso centri dove stare insieme far rivivere anche le piccole tradizioni”.

Mancano ancora le attività commerciali e un centro dove potersi ritrovare e cercare di creare una comunità coesa e solidale.

“Io parlo per me e per la realtà di Borgo, – continua la signora Luigia – questo villaggio è un posto dove tornare a dormire e per quanto ci si sforzi e si cerchi di ricreare dentro le SAE una situazione migliore quando apri la porta ti accorgi di essere solo. Sarebbe stato bello soprattutto per le festività natalizie ritrovarsi insieme, creare piccoli progetti , rispolverare le vecchie tradizioni popolari , cucinare insieme , fare degli addobbi , un piccolo presepe, un albero. L’interno delle SAE sarà natalizio ma fuori si respirerà un’aria fredda e invernale, invece sarebbe stato bello renderla più calda anche con delle piccole luci ! Finora niente, ma spero che riusciremo a fare qualcosa, a breve. D’Altronde il villaggio di Borgo avrebbe dovuto rappresentare Arquata”.

TRADIZIONI

Si riparte dalle piccole abitudini, in un ambiente stravolto e diverso, ma basta ritrovare le tradizioni, piccoli gesti come quelli della famiglia di Roberta Pompa, che insieme al marito Alessandro e i suoi quattro figli abita in una delle SAE dell’area di Piedilama. “Il Natale quest’anno è diverso dagli altri, spiega Roberta – si respira un’aria nuova. La certezza di aver ripreso la propria vita nelle nostre mani, il piacere di ritornare a fare le cose di sempre ma con un’ aria più magica e più semplice, la bellezza di realizzare l’albero e il presepe con i tuoi figli che mostrano negli occhi la gioia e la commozione di vivere finalmente il nostro tanto atteso Natale.”

Il container adibito ad attività artigianale sarà consegnato nelle mani di Alessandro, tra pochi giorni, dopo un anno di attesa. “Il Fotoriparatore” è un laboratorio di riparazione e assistenza attrezzature fotografiche, che Alessandro Paci ha continuato a gestire, nonostante la struttura lesionata. Adesso lavorerà a due passi da casa e in sicurezza.

Intanto, si cominciano ad addobbare gli alberi di Natale. A Capodacqua si è scelto di addobbare l’albero nonostante, per ora, i residenti vivano altrove, alcuni nelle città limitrofe, altri nell’area SAE di Borgo 2. Gli abitanti di Capodacqua mantengono un legame forte e imprescindibile con il proprio paese, da qui la decisione di tornare a farlo rivivere. Nonostante le macerie, la lontananza, l’abbandono forzato dagli eventi, la tenacia di chi viveva a Capodacqua si riconosce nella forza dell’appartenenza.

A Pretare, le famiglie più giovani hanno scelto di mantenere la tradizione dell’albero, come si era soliti fare nella piazza del paese, prima del sisma. Ora, accanto al Centro polivalente e alle SAE, è stato innalzato l’albero, in cima svetta la stella, recuperata tra le macerie che diventa simbolo della Pretare 2.0, che torna a essere vitale. L’orgoglio di appartenere a un paese significa mantenere lo spirito d’adattamento e il desiderio di credere che sia ancora tutto possibile.

Giuseppina Ciccolini, con la sua famiglia, aveva una seconda casa a Pretare. “Nonostante il terremoto ha distrutto tutto – commenta Giuseppina – è piacevole per noi raggiungere il nostro paese d’origine, trascorrere qualche ora insieme, nel Centro Polifunzionale che hanno costruito e donato con una generosità indescrivibile. Il Centro è l’unica soluzione per i non residenti di continuare a vivere i paesi, mantenendo un legame affettivo e di ricordi di vita vissuta. Ammiro molto chi ha deciso di tornare a vivere nelle SAE, nonostante le difficoltà. Credo che insieme riusciremo a ricostruire almeno la parte emotiva delle nostre frazioni”.

I problemi tecnici, legati alla mancanza di acqua calda, al gas che non funziona, ai boiler che non sono coibendati e dunque soffrono il gelo che nelle zone montane è frequente, i disagi degli anziani che da soli non riescono a ovviare a tali difficoltà.

Il sindaco Aleandro Petrucci cerca di sollecitare quotidianamente le ditte che hanno realizzato le SAE, chiedendo maggiore collaborazione e soluzioni immediate. Gli assegnatari delle “casette” esigono una vivibilità decente.

“Non si riesce a vivere sereni, – commenta una residente di Arquata – se, quando ti svegli, devi sperare che l’acqua calda funzioni, che non ci siano perdite di gas, che tutto funzioni a dovere. Chiediamo soltanto quello che ci spetta, dopo un anno trascorso in albergo”.

Eppure si resiste, si continua il percorso scelto. Chiunque abbia deciso di tornare ad Arquata, dopo lo sconvolgente sisma di agosto e ottobre 2016, è stato mosso da sentimenti d’appartenenza e di radici.

“Natale ad Arquata ha un sapore particolare, ambivalente” – racconta il dottor Italo Paolini, presidente dell’Associazione ArquataFutura, che recentemente ha inoltrato una lettera alla Presidente della Camera Laura Boldrini per evidenziare tutto quello di cui Arquata ha bisogno per ripartire davvero. “Da un lato la speranza e la magia di una Festa che, in particolare per i Cristiani, è fondamento della Fede – continua Italo Paolini – il ricordo dei tanti momenti di serenità vissuti con i propri famigliari e paesani.  Dall’altro la tristezza, che si avvicina pericolosamente alla disperazione, nel guardarsi intorno e non ritrovare, se non nel ricordo, il tuo panorama, le tue case, i rumori e le consuetudini quotidiane”.

Al loro posto aggregati di SAE (Soluzioni Abitative di Emergenza), che saranno per molto tempo la casa di molti Arquatani, a spezzare la bellezza di panorami impagabili e a ricordare una volta di più lo scempio connesso alla distruzione che è avvenuta.

Nella gente, nei 550 che sono tornati, nelle poche abitazioni agibili e nelle molte SAE, c’e’ la voglia di ricominciare, di ridare normalità alla loro vita, ma gli ostacoli sembrano non finire mai. Casette con soluzioni di riscaldamento non adatte ai nostri climi, guasti idraulici, elettrici, infiltrazioni legate a pose in opera frettolose rappresentano continue fonti di preoccupazione in animi già  legittimamente esasperati. Mancanza, per ritardi progettuali e di costruzione, di servizi commerciali e luoghi di ritrovo (alimentari, negozi, bar) rendono oggettivamente difficile la ripresa di una vita con caratteristiche di normalità.

Eppure si continua a leggere negli occhi della gente la voglia di ripartire, di far rinascere ciò che è stato tolto e di cui ora si apprezza ancora di più un valore che non sempre abbiamo percepito in passato, la voglia di realizzare il miracolo del Natale, superando ritardi, errori, lentezze burocratiche, lontananza delle Istituzioni.

Dall’esempio e dalla voglia di ripresa di tutti noi può derivare il maggior stimolo per chi ha il difficile compito istituzionale, a tutti i livelli,  di ricostruire Arquata, realizzando un cambio di passo rispetto a quanto fatto finora.

Foto di Francesco Riti

 


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