TERAMO – Era il 2017 quando neve e gelo hanno mietuto vittime in territorio abruzzese. Se molto si è parlato della tragedia di Rigopiano, tante altre sono state le vittime del maltempo di quei giorni ormai lontani.

A tre anni dalla morte di Claudio e Mattia Marinelli, padre e figlio di 56 e 22 anni, assiderati nel gennaio del 2017 dopo essere usciti in auto per trovare la benzina necessaria ad alimentare il generatore di casa e comprare alcune medicine, il sentimento più forte per Liliana, moglie e madre delle due vittime del maltempo, è la rabbia.

“La rabbia perché non ci sono più, perché non li vedo, non li sento. In questi giorni, poi, è ancora più forte”. La tragedia di Poggio Umbricchio di Crognaleto (Teramo) è emblematica dell’apocalisse vissuta dall’Abruzzo che portò con sé in tutta la regione, altri 14 morti.

Le prime avvisaglie del maltempo si erano avute già la settimana precedente, quando diversi comuni erano rimasti sotto la neve. Tra questi quello di Guardiagrele (Chieti), dove il 5 gennaio Nicola Naccarella, 55 anni, era uscito di casa per andare a dare da mangiare agli animali in una rimessa non lontano da casa, senza mai tornare. Il suo corpo senza vita fu ritrovato nove giorni dopo, il 14 gennaio, sotto una spessa coltre di neve. Il 16 gennaio a perdere la vita fu invece Roberto Zecca, architetto di 67 anni di Bellante (Teramo), morto assiderato dopo essere caduto in acqua al porto di Giulianova. Al momento della tragedia Zecca stava cercando di rafforzare gli ormeggi della sua barca per evitare che il maltempo potesse crearle problemi quando cadde in acqua, morendo appena arrivato in ospedale per ipotermia.

Nel lungo elenco di tragedie che in quei giorni colpì l’Abruzzo c’è anche quella di Nino Di Nicola, 83 anni, di Castel Castagna (Teramo), morto schiacciato dal tetto della stalla il 18 gennaio. Il giorno successivo furono invece rinvenuti senza vita nella loro casa di Brittoli (Pescara), Guerino Ferrante, di 81 anni e la moglie Letizia Mariani di 76 anni, uccisi dal monossido di carbonio sprigionato dal piccolo generatore di corrente acceso per avere un po’ di luce e calore: Brittoli, era senza energia elettrica per via del black out.

Il 20 gennaio fu invece ritrovato senza vita, in contrada Ortolano a Campotosto (L’Aquila), Enrico De Dominicis, il 73enne travolto appena fuori casa da una slavina che si era staccata dal monte Corno. Lo stesso giorno, ad essere rinvenuto ormai esanime, fu anche Luigi Poeta, 73 anni, stroncato dalle esalazioni di monossido di carbonio esalate da un generatore di corrente installato nella stalla, a fronte dell’assenza di elettricità, per riscaldarsi.

E se i parenti di una 90enne di Arsita, morta per cause naturali, dovettero aspettare giorni per poter celebrare i funerali a causa della neve che isolava i territori, il maltempo non risparmiò nemmeno i soccorritori. Il 24 gennaio, un elicottero del 118 arrivato a Campo Felice per soccorrere uno sciatore ferito, precipitò poco dopo essersi alzato in volo per portare l’uomo in ospedale. Nella tragedia persero la vita, oltre allo stesso sciatore Ettore Palanca, il medico Valter Bucci, l’infermiere Giuseppe Serpetti, il pilota Gianmarco Zavoli, il tecnico Mario Matrella, il tecnico del soccorso alpino Davide De Carolis, nei giorni precedenti impegnato nei soccorsi a Rigopiano.

Pochi giorni, il 30 gennaio, un infarto, legato probabilmente allo stress, uccise a soli 39 anni Andrea Pietrolungo, tecnico Speleologico del soccorso alpino, che per tutto il mese aveva preso parte alle operazioni di soccorso nel Teramano, stremato da neve e terremoto.

I 20 milioni di tonnellate di neve caduta hanno portato danni al territorio per centinaia di milioni di euro, di cui 450 milioni stimati solo per il dissesto idrogeologico e 170 per i privati e le attività economiche.

Circolazione stradale e trasporti, compresi treni e aerei, in tilt a causa del ghiaccio, accumuli di neve ovunque – dai 40 cm sulla costa ai due metri all’interno – tir bloccati sull’autostrada A14, blackout elettrici e carenza idrica per migliaia di persone, Comuni isolati, scuole e uffici pubblici chiusi, automobilisti e camion bloccati in strade statali chiuse; ci sono anche i primi morti, travolti dalla neve e avvelenati dal monossido. Sono oltre 1.600 gli interventi dei Vigili del Fuoco nelle prime 48 ore.

Dall’11 gennaio c’è una tregua delle precipitazioni, le temperature si rialzano, scattano le polemiche, ci si interroga sulle responsabilità, si cerca di riparare i danni alla rete elettrica e idrica – operazioni rese difficili da una viabilità precaria ovunque – e di soccorrere chi è isolato senza acqua, luce e cibo, ma non c’è più tempo perché dal 16 gennaio arriva una nuova ondata di maltempo che mette in ginocchio l’Abruzzo.

Il 17 gennaio, mentre le utenze elettriche disabilitate raggiungono il picco di 177 mila (300 mila persone), arriva la seconda richiesta di stato di emergenza dalla Regione Abruzzo: arriva anche l’Esercito, per spalare la neve; in alcune zone dell’entroterra occorrono le turbine per sgomberare la neve, mentre altri posti sono raggiungibili solo in elicottero. In aiuto arrivano le colonne mobili di Protezione civile da tutta Italia, ma il peggio deve ancora arrivare.

Nella notte tra il 17 e il 18 esonda il fiume Pescara e poi il fiume Saline, provocando allagamenti. Il 18 gennaio la terra torna a tremare, con quattro scosse di magnitudo superiore a 5 nell’Aquilano: è il caos, perché gli interventi di soccorso sono molteplici, e le difficoltà per raggiungere le località isolate dalla neve, dove ci sono anziani e bambini, rendono tutto più complicato. Le segnalazioni sono moltissime tra cui anche quella di un albergo sepolto da una slavina a Farindola (Pescara).

I soccorsi ci mettono 20 ore per arrivare sul posto e una settimana per individuare superstiti e cadaveri. Intanto le temperature si rialzano, arriva la pioggia e la neve si scioglie liberando duemila miliardi di litri di acqua che travolgono il territorio, con frane e smottamenti nei mesi successivi, costringendo alcuni Comuni del teramano ad evacuare.


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