ASCOLI PICENO – Se il Presidente della Regione Marche ha affermato proprio oggi di voler innalzare il numero di tamponi giornalieri nel Piceno a 800 al giorno, e testare anche gli asintomatici con analisi a tappeto, l’0rdine dei Medici del Piceno risponde con un lungo comunicato nel quale si chiede a Ceriscioli di espandere l’attività di prelievo del tampone a tutti gli asintomatici e in particolar modo agli operatori sanitari e ai ricoverati negli ospedali, anche per evitare i casi di contagio interno al sistema sanitario come avvenuto nei giorni scorsi.

Di seguito il comunicato.

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“L’isolamento degli asintomatici è essenziale per riuscire a controllare la diffusione del Coronavirus e la gravità della malattia. Le attuali politiche di contenimento dello stesso devono essere riviste. Risulta infatti fondamentale identificare al più presto il più alto numero possibile di soggetti asintomatici, che sono fonte importante della malattia, per bloccare la diffusione del virus”.

E’ uno dei passi più importanti della lettera che l’Ordine dei Medici Odontoiatri della Provincia di Ascoli ha inviato al governatore Luca Ceriscioli. Alla base del testo c’è lo studio del professor Sergio Romagnani, professore ordinario di Immunologia clinica dell’Università di Firenze. Uno studio che  l’Ordine reputa essenziale, raccomandando dar seguito immediato alle indicazioni in esso contenute.

I medici e gli infermieri esposti al virus sviluppano frequentemente un’infezione asintomatica continuando a veicolare l’infezione tra loro e ai loro pazienti – spiegano i medici piceni riprendendo le parole di Romagnani – Gli ospedali rischiano di diventare zone ad alta prevalenza di infettati in cui nessun affetto è isolato. Il rischio di contagio per i pazienti e tra colleghi rischia di diventare altissimo ed esiste anche il rischio di creare delle comunità ad alta densità virale che sono quelle che, secondo lo studio, favoriscono anche la gravità del decorso della malattia”.

“Nel suo ruolo di referente della sanità regionale ed in vista dell’imminente creazione di ospedali dedicati al Covid-19, con spostamento di sanitari, pazienti e familiari che, invece di ridurre i rischi ne potrebbe determinare l’incremento, auspichiamo decisioni immediate a tutela della salute dei pazienti e dei sanitari”. 

In calce quanto scritto da Romagnani, che parte dal tampone collettivo eseguito sui circa 3.000 abitanti di Vo’Euganeo, comune veneto tra i focolai dell’epidemia.  

È stato eseguito il tampone per la ricerca del Covid-19 a tutti gli abitanti del paese di Vò ed è stato dimostrato che la grande maggioranza delle persone che si infetta, tra il 50 e il 75%, è completamente asintomatica, ma rappresenta comunque una formidabile fonte di contagio. A Vò infatti con l’isolamento dei soggetti infettati il numero totale dei malati è scesa da 88 a 7 (almeno 10 volte meno) nel giro di 7-10 giorni. Quello che è anche più interessante e in parte sorprendente, è stata anche la dimostrazione che l’isolamento dei contagiati (sintomatici o non sintomatici) non solo risultava capace di proteggere dal contagio altre persone, ma appariva in grado di proteggere anche dalla evoluzione grave della malattia nei soggetti contagiati perché il tasso di guarigione nei pazienti infettati, se isolati, era nel 60% dei casi pari a soli 8 giorni .

Questi dati forniscono due informazioni importantissime:

1) la percentuale delle persone infette, anche se asintomatiche, nella popolazione è altissima e rappresenta la maggioranza dei casi soprattutto, ma non solo, tra i giovani;

2) l’isolamento degli asintomatici è essenziale per riuscire a controllare la diffusione del virus e la gravità della malattia. Alla luce di questi dati straordinari, è evidente che le attuali politiche di contenimento del virus devono essere riviste. Risulta infatti assolutamente fondamentale per bloccare la diffusione del virus identificare il più alto numero possibile di soggetti asintomatici che sono fonte importante della malattia e di identificarli il più precocemente possibile.

Sulla base dei dati ottenuti a Vò, è già iniziata in tutto il Veneto una “sorveglianza attiva massiva”, cioè si è deciso in quella regione di sottoporre a tampone tutti i lavoratori più esposti al contagio (medici, infermieri, forze di polizia, lavoratori costretti per il loro tipo di lavoro ad avere molti contatti inter-personali), anche se asintomatici, uno studio finanziato da un industriale veneto il cui nome è sconosciuto, allo scopo di scovare tutti gli individui infetti, anche se asintomatici, e quindi di isolarli come è stato fatto nello studio pilota di Vò.

La prima considerazione che scaturisce da questa esperienza è che l’attuale modalità nazionale e quindi anche della nostra regione di affrontare il problema della infezione da Covid-19 (fare tamponi solo alle persone sintomatiche) è l’opposto di quello dovrebbe invece essere fatto. Infatti, adesso che il virus circola ampiamente non è più così importante fare il tampone ai soggetti sintomatici. Tutti coloro che presentano febbre, tosse e sintomi respiratori dovrebbero comunque essere posti in isolamento o essere trasportati in ospedale e curati in modo appropriato alla loro sintomatologia e tutti coloro che sono stati esposti a questi soggetti dovrebbero comunque stare in isolamento.

Quello che però sembra adesso cruciale nella battaglia contro il virus è cercare di scovare le persone asintomatiche ma comunque già infettate, le quali hanno una maggiore probabilità di contagiare visto che nessuno le teme o le isola. Questo è particolarmente vero per categorie come i medici e gli infermieri che essendo esposti al virus sviluppano frequentemente un’infezione asintomatica continuando a veicolare l’infezione tra loro e ai loro pazienti. In molte regioni infatti, sia italiane che internazionali, si sta infatti decidendo di non fare più il tampone ai medici e agli infermieri a meno che non sviluppino sintomi. Ma alla luce dei risultati dello studio di Vò, questa decisione può essere estremamente pericolosa; gli ospedali rischiano di diventare zone ad alta prevalenza di infettati in cui nessun affetto è isolato. Il rischio di contagio per i pazienti e tra colleghi rischia di diventare altissimo ed esiste anche il rischio di creare delle comunità ad alta densità virale che sono quelle che, secondo lo studio di Vò, favoriscono anche la gravità del decorso della malattia.

E’ quindi assolutamente essenziale estendere i tamponi alla maggior parte della popolazione, in particolare alle categorie a rischio (cioè esposti a contatti multipli), e quindi isolare i soggetti positivi al virus ed i loro contatti, anche se asintomatici, quanto più precocemente possibile. In particolare, è assolutamente necessario fare i tamponi a tutti coloro che hanno una elevata probabilità di trasmettere il virus, specialmente se vivono in comunità chiuse e con contatti molteplici e ravvicinati. Infine, è importantissimo che tutti i soggetti a rischio indossino le mascherine, non tanto per proteggere sé stessi dall’infezione, ma piuttosto per proteggere gli altri da sé stessi, anche quando non presentano sintomi.

Si potrebbe obiettare che i costi di un numero elevato di tamponi, nonché le difficoltà di ordine tecnico che ne derivano, siano state le motivazioni addotte per sconsigliare finora questa strategia a livello di politica sanitaria nazionale e quindi anche della regione Toscana, scegliendo quella di effettuare il tampone solo alle persone fortemente sospette a causa della loro sintomatologia. Ma i costi, valutati in termini di vite salvate, di numeri molto inferiori di soggetti che richiedono i costi ed i rischi di una terapia intensiva, ed anche in termini economici, sarebbero alla fine enormemente inferiori a quelli legati alla esecuzione di un numero di tamponi molto maggiore di quello attualmente effettuato. Del resto risultati similari stanno arrivando in questi ultimi giorni dall’uso di una simile strategia nella Corea del Sud. La mia lettera vuole anche essere una forte raccomandazione ad esaminare il problema ai vertici della sanità della Regione Toscana.

Sergio Romagnani

Già Professore di Immunologia Clinica e Medicina Interna

Professore Emerito dell’Università di Firenze

 


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