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ASCOLI PICENO – Paolo Barnard sembra un agnellino, al confronto. Sì, Paolo Barnard, il giornalista che ha denunciato Mario Monti e Giorgio Napolitano per attentato alla Costituzione, e ha chiesto in tv, alla Rai, di essere contro-denunciato dall’attuale Presidente del Consiglio per diffamazione, al fine di portare in tribunale le prove delle sue affermazioni.
“Crimine e criminali” sono le parole con le quali Benito Li Vigni, siciliano classe 1935, collaboratore all’Eni ai tempi dell’epopea di Enrico Mattei, etichetta la politica italiana ma soprattutto la finanza (non solo italiana) dell’ultimo ventennio.
Il tutto venerdì 16 novembre, ad Ascoli, in una Sala Docens affollatissima, con tantissimi giovani, che davvero hanno fatto rivivere il “mito” Mattei a 50 anni dalla tragica morte a seguito di un incidente aereo. Organizzato da Piceno Tecnologie, erano presenti il presidente della Provincia Piero Celani, il prefetto Graziella Patrizi, il presidente dell’Assemblea della Regione Marche Vittoriano Solazzi, il consigliere regionale Giulio Natali; l’incontro ha visto la partecipazione del giornalista Giovanni Fasanella e appunto di Benito Li Vigni, braccio destro di Enrico Mattei in Sicilia e nel Mediterraneo.
Nel video, della durata di nove minuti, Li Vigni risponde a due domande principali: la prima, inerente la figura di Enrico Mattei; la seconda parte, invece, è dedicata allo smantellamento dell’Eni e dell’Iri negli anni ’90.
“Mattei era un grande patriota e un grande imprenditore, e intuì che l’energia era necessaria all’Italia in quanto un paese distrutto dalla guerra, con un Pil che era la metà di quello del 1938. Quindi si oppose alla liquidazione dell’Agip quando venne nominato in quel ruolo: tutte le potenze vincitrici, Stati Uniti, Francia e Inghilterra, volevano la scomparsa dell’Agip per considerare l’Italia esclusivamente un mercato dove vendere il petrolio. Mattei disobbedì” afferma Li Vigni, e già qui lo spessore di Mattei, rispetto agli attuali “best seller” della politica italiana, proni ai voleri esteri e indifferenti a quelli nazionali, spicca con lucidità.
“Mattei potenziò l’Agip, realizzò dei pozzi in Val Padana, una rete di metanodotti, e poi al sud, in Basilicata e in Sicilia, dove l’ho conosciuto, e dove ha portato per la prima volta il lavoro e l’industria – ricorda Li Vigni – Ha posto l’Italia all’attenzione del mondo, ad esempio l’accordo che fece in Iran fu rivoluzionario: non era un accordo imperialistico tipico delle grandi compagnie americane, ma un accordo paritario. Gli utili dell’estrazione erano divisi metà a metà, poi l’Eni pagava le tasse in Iran: alla fine restava il 75% all’Iran e il 25% al paese importatore. Questo provocò una forte reazione delle Sette Sorelle. Ma Mattei non si fermò qui: offrì lo stesso trattamento ai paesi africani, e nel 1958 si rivolse all’Unione Sovietica, in piena guerra fredda, e anche questo scandalizzò. Ma il grezzo sovietico non veniva pagato, ma garantito coi prodotti industriali italiani, attraverso il lavoro creato dalla Finsider. In Africa appoggiò la rivoluzione algerina e coinvolse i francesi, e riuscì a spuntarla anche in Iraq dove avevamo delle concessioni dagli anni ’30, facendole revocare agli inglesi”.
“De Gasperi fu convinto da Mattei a dare all’Eni, cioè allo Stato Imprenditore, la gestione dell’energia, perché era una necessità strategica nazionale” conclude Li Vigni.
E poi si apre l’oscuro capitolo della svendita del patrimonio pubblico negli anni ’90: purtroppo all’epoca internet non esisteva e alcune informazioni erano del tutto occultate al pubblico, oppure difficili da approfondire. Anche ora è così, ovviamente, pur se c’è una minoranza di cittadini in grado di comprendere cosa avvenne sul panfilo Britannia e chi furono i “killer” e i “mandanti” dell’economia nazionale. Ma essendo il tema identico a quello attuale, che anzi è indubbiamente più cupo e pericoloso, occorre ascoltare e studiare con altissima attenzione le parole di Li Vigni.
“Avevamo una crisi economica ed eravamo usciti dal Sistema Monetario Europeo, ma questo non giustificava l’abolizione del sistema che aveva garantito il Miracolo Economico. Quindi vi fu un attacco allo Stato imprenditore organizzato dalle grandi banche d’affari, che convinsero Ciampi e Amato a liberalizzare il settore pubblico. Mario Draghi, allora direttore generale del Ministero del Tesoro, spinse verso la privatizzazione. Venne distrutto lo Stato imprenditore, l’Eni da 130 mila dipendenti si ridusse a 30 mila, scaricando ai cittadini il costo di questa operazione”.
Li Vigni sembra soffrire come se la vicenda fosse ancora attuale, e usa pari pari le parole di Paolo Barnard: “Operazione veramente indegna, perché si sono chiuse attività che portavano profitti allo Stato come la Nuovo Pignone, la Lebole, la chimica di base. Si distrusse l’Eni. Il patrimonio immobiliare dell’Eni, che valeva mille miliardi di lire, è stato venduto a Goldman Sach’s per una lira (alza la mano e con l’indice indica “uno”, ndr). Si è commesso un crimine che secondo me doveva essere perseguito per legge, invece si è andato avanti: si è distrutto l’Iri, l’Imi, il sistema bancario italiano e financo la Banca d’Italia che non esiste più ed ora non abbiamo più un sistema di controllo finanziario”.
L’amarezza diventa sorriso ironico: “Naturalmente Draghi fu premiato e divenne presidente della Goldman Sach’s Europa… io non so se in un paese sia possibile un conflitto di interesse di questo genere. È rimasto a Goldman Sach’s Europa per due anni, poi è passato alla guida della Banca d’Italia, e quindi è alla guida della Bce, creando la situazione che stiamo vivendo”.
Perché non ci sono uomini politici che denunciano con le sue identiche parole quello che è avvenuto, chiediamo a Li Vigni? “Non abbiamo più la politica, è finita – è la risposta secca – Abbiamo l’oligarchia: nel 2005 è stata approvata una legge per impedire al cittadino di nominare i propri rappresentanti al Parlamento. Abbiamo una oligarchia di caste e di gruppi. La politica fa altre cose. Sappiamo quello che accade, le appropriazioni criminali che tolgono il danaro pubblico per finanziare cose diverse dalle scuole, la sanità, lo sviluppo, è un crimine. L’Italia è un paese oramai avviato verso una strada criminale. Il fatto che sui giovani che protestavano siano stati lanciati lacrimogeni dal Ministero di Giustizia fa capire che ci stiamo avviando verso una guerra tra le Istituzioni gestite in questo modo per certi motivi, e il Paese. Se si continua così arriveremo ad una strada senza uscita”.
“Mattei – conclude Li Vigni – non sognava una Italia così, ma un’altra Italia. Attenzione: abbiamo delle sentenze depositate che testimoniano come Mattei non sia stato ucciso dalle Sette Sorelle, ma da settori delle Istituzioni italiane che non volevano distruggere un uomo che operava nell’interesse del Paese”.
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Un’altra importante considerazione è: come è possibile che la privatizzazione di ENI, Telecom, ENEL, INA, IMI, San Paolo di Torino, Banco di Napoli, SEAT, BNL, Mediocredito, Cariverona, CdP, Alitalia e Finmeccanica (alcune delle quali cedute intermanete) abbiano fruttato poco meno di 100 Miliardi? E che fine hanno fatto questi soldi?
Bisogna ricordare almeno 3 cose: 1. il sistema italiano delle partecipazioni pubbliche era in forte dissesto a causa della logica politica (più precisamente democristiana) e non imprenditoriale con cui veniva gestito. “Programmato dissesto” è il titolo di un saggio di Nico Perrone dell’epoca (1991). E le perdite delle imprese pubbliche finivano a carico di tutti i cittadini italiani. 2. Nel 1992 c’è stata una grave crisi finanziaria in cui l’Italia si è trovata costretta a vendere parte del patrimonio per non finire in bancarotta. In questo contesto l’alternativa a vendere le partecipazioni statali sarebbe stata una politica di austerity molto… Leggi il resto »
Sul punto 1 ha ragione in parte: il sistema era in dissesto perché purtroppo molte aziende “decotte” furono “raccolte” dall’Iri, secondo la ben nota pratica: “Profitti privati, perdite pubbliche”. Fatto sta che gran parte delle aziende citate da Li Vigni, effettivamente, producevano utili per lo Stato ed erano state la spina dorsale dell’economia italiana: migliaia di piccole e medie imprese italiane beneficiavano della ricerca, dei livelli occupazionali e dell’indotto creato, spesso in maniera egregia. Punto 2: Il pericolo del fallimento era dovuto solo alla volontà “statalista” di mantenere un cambio fisso. Nessun attacco speculativo è possibile su una moneta flessibile.… Leggi il resto »
Caro Pier Paolo, i saldi di bilancio nel ’92 erano negativi, di per se significa poco, ma sicuramente era evidente che qualcosa non funzionava nella macchina statale. Negli anni ’90 è stato fatto un eccellente lavoro di riequilibrio del conto economico arrivando a saldi primari positivi, e secondo me avremmo dovuto fermarci qui e gestire gli interessi ed il debito con le politiche monetarie, ma sappiamo tutti che stiamo ancora rincorrendo gli interessi dopo 20 anni di stagnazione e decrescita infelice e dolorosa.
La logica per cui le imprese decotte finivano all’IRI era il mantenimento dell’occupazione e altri analoghi ‘fini sociali’ e clientelari, a carico del contribuente, per questo erano in ‘dissesto programmato’. La ragione di fondo delle privatizzazioni è l’idea che lo Stato non si debba occupare di produrre pomodori in scatola e panettoni, e in genere di fare l’imprenditore, nemmeno quando l’impresa sia in attivo, perchè il mercato fa meglio: questa idea era diventata in quel momento storico (inizio anni 90) dominante. Le tesi liberiste sono altrettanto legittime di quelle dirigiste: la storia economica non ha sancito in proposito verdetti assoluti,… Leggi il resto »
Concordo sulle liberalizzazioni e ne servirebbe anche molte altre. Sulle politiche monetarie, in condizioni standard sarei d’accordo, ma ci troviamo in un particolare contesto economico che, a fronte della crisi dei mutui subprime, ha visto bruciare miliardi di $ (quindi si è ridotto il valore della mneta circolante sul pianeta) causando un impoverimento generale. Ora se a fronte di questo buco, invece di stampar soldi per salvare le banche incappando nel moral hazard, avessimo stampato moneta per rimborsare i correntisti forse non avremmo tutti questi danni collaterali. Non voglio fare il complottista ma da questa situazione non se ne esce… Leggi il resto »
Il mondo ha accumulato una quantità stratosferica di debito, privato e pubblico, e ora bisogna riassorbirne molta parte, cercando di non provocare disastri globali: in questo tentativo di atterraggio morbido le banche centrali hanno un ruolo cruciale. Su questo siamo d’accordo. E la BCE, nonostante il divieto di monetary financing e nonostante le urla dei tedeschi, i suoi strumenti legittimi per fare easing li ha e li sta usando. Ma bisogna intendersi sulla portata effettiva di questa operazione di easing: aver accumulato tutto questo debito significa essere vissuti al di sopra dei propri mezzi e questo equivale a essere diventati… Leggi il resto »
Faccio un po’ di “puntinismo” per essere chiaro. 1. “E’ meglio essere pragmatici”: è vero. Fortunatamente possono esistere strumenti ben diversi, e molto più flessibili ed equi, rispetto al mantenimento di imprese fallite (è vero il clientelismo: è vero anche che gettare nella disperazione migliaia di famiglie localizzate in una provincia determinerebbe uno sconquasso sociale che nessuno saprebbe gestire). Qui siamo passati però dallo “Stato che fa pomodori” (non credo nessuno lo auspichi, tranne il Partito Marxista-Leninista :D), ai privati che fanno lo Stato. Attenzione: gli “investimenti pubblici” a favore di aziende private sono di fatto annullati dalle scelte di… Leggi il resto »