ha collaborato Oliver Panichi

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ASCOLI PICENO – Ore 9:30, ingresso della casa circondariale di Marino del Tronto. Un agente ci chiede i documenti, controlla che i nomi corrispondano a quelli che gli hanno comunicato e poi ci apre il cancello. Entriamo e la porticina dell’ingresso pedonale si richiude dietro di noi: è un rumore inquietante, quello che scandisce i ritmi della vita al di là delle sbarre.

Sappiamo che usciremo di lì a poco, ma intanto siamo dentro e il senso di limitazione della libertà è palpabile, sempre più concreto a ogni varco sbarrato.

Superiamo la guardiola del primo blocco di accesso, ci aprono un altro cancello e l’agente ci accompagna su per le scale, fino alla direzione. Stanno facendo pulizia, una signora ci avverte di fare attenzione al pavimento bagnato. Ad aiutarla ci sono due detenuti.

Quelli che lavorano sono i più fortunati, perché passano più tempo fuori dalla cella”, ci spiega la direttrice, Lucia di Feliciantonio, abruzzese di Civitella, in servizio ad Ascoli dal 2000 dopo due ruoli da vice a Brindisi e a Roma. Nelle Marche, i posti da direttore sono occupati quasi tutti da donne e anche a livello nazionale la quota femminile è alta, circa il 30%: “Forse perché è un ruolo cui si accede per concorso e le donne sono più metodiche nello studio”, azzarda lei, specificando però che quando si passa al gradino successivo, quello di provveditore regionale, la percentuale crolla drammaticamente: solo due in tutta Italia.

Come si decide di scegliere un lavoro come questo, così pieno di difficoltà e responsabilità, oltre che vissuto in un ambiente regolato da abitudini e vincoli tanto diversi rispetto a qualsiasi altro contesto lavorativo?

“Quando stavo ancora studiando giurisprudenza, facevo parte di un coro polifonico che fu invitato a tenere un concerto di beneficenza per i detenuti. Fu un’esperienza molto forte e intensa, così una volta laureata, non appena si è presentata l’occasione, ho fatto il concorso. Ho affrontato con grande entusiasmo questo lavoro e lo considero molto bello, nonostante le difficoltà e le sfide continue.”

Ma la vita nel carcere, anche per i dirigenti e per gli agenti di polizia penitenziaria, è molto diversa da quella che si immagina chi in un carcere non ha mai messo piede. “Per questo, con l’aiuto delle associazioni di volontariato, cerchiamo di promuovere iniziative di coinvolgimento della comunità esterna al carcere”.

Un buon esempio è il “percorso del detenuto” proposto ai ragazzi delle scuole superiori, nell’ambito dei progetti di educazione alla legalità. In pratica consiste nel vivere l’esperienza dell’ingresso in carcere e incontrare tutte le varie figure coinvolte in questa fase, seguendo l’intero iter gestito dall’ufficio matricola: foto, impronte digitali, visita medica, incontro con l’educatore e con lo psicologo.

“L’impatto sui ragazzi, ma anche sugli insegnanti che li accompagnano, è molto forte. È un’esperienza formativa, che fa scoprire loro un mondo altrimenti inimmaginabile dall’esterno”.

E poi l’età media dei detenuti della sezione ordinaria di Marino del Tronto è di 25 anni, non tanti di più rispetto agli studenti di scuola superiore. Per il 50% sono detenuti in attesa di giudizio. Quasi tutti provengono da fasce sociali gravemente svantaggiate e hanno un livello di istruzione molto basso.

“Indubbiamente la scelta ultima è personale, ma se nasci e cresci in certi ambienti non è così facile trovare una strada alternativa”, spiega la direttrice, e il suo tono non riflette buonismo giustificazionista, ma solo un’autentica volontà di comprendere le radici del problema.

Come dire: quando la condotta criminale è l’unico esempio con cui si ha a che fare negli anni in cui si impara a distinguere il bene dal male, l’atto di delinquere non è associato ad alcuno stigma sociale: semplicemente fa parte del pacchetto. Il che non vuol dire che l’ingresso in carcere non sia traumatico, anche per chi in qualche modo l’ha già messo in conto. I primi giorni sono quelli a più alto rischio di suicidio, soprattutto per i “primari”, ossia i detenuti che entrano in carcere per la prima volta. Per questo si cerca di seguirli più da vicino, informandoli sulle attività trattamentali previste, inclusa la possibilità di lavorare.

1. continua


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